Il più grande equivoco di questo inizio di stagione del Napoli rischia di essere proprio la scelta dell’allenatore. E non perché sembra che gli azzurri abbiano smarrito tutte le loro certezze pregresse, sul piano squisitamente tattico e della mentalità dominante.

Colpevolizzare Garcia, reo di aver tentato di adattare la squadra alle proprie idee, è incomprensibile. Immaginare, infatti, che il nuovo allenatore si limitasse a lavorare sulla scorta dei principi del suo predecessore significa non conoscere affatto le dinamiche che albergano all’interno di uno spogliatoio. 

L’errore maggiore non è stato affidarsi al tecnico francese. Bensì avere la presunzione di pensare che il gruppo potesse fare a meno di un determinato tipo di “manico”.

Spalletti era indubbiamente bravo a entrare nella testa dei giocatori. Uno in grado di fare ben poca filosofia. Convincendoli della necessità di migliorarsi continuamente attraverso una feroce applicazione quotidiana. I singoli che acquisiscono nuove abilità, e poi le mettono al servizio del collettivo. Il Napoli che propone un calcio diverso, che non si traduce nella semplice somma dei talenti individuali.   

De Laurentiis invece deve aver maturato in cuor suo che i Campioni d’Italia avessero raggiunto un livello qualitativo tale da poter rinunciare alla parte didattica, accontentandosi del gestore di risorse. Sostanzialmente uno in grado di utilizzare al meglio l’organico a disposizione, senza fare grossi danni. Ed al contempo, evitando di rompere troppo il giocattolo.

Adesso che la squadra partenopea è palesemente un cantiere a cielo aperto, il rischio concreto che il presidente non riesca a risolvere questo gigantesco equivoco di fondo – in un modo o nell’altro – si profila all’orizzonte con irriverente puntualità.

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