Magari FiorentinaNapoli è capitata abbastanza presto. Ma la Serie A ha i suoi tempi e pretende di cannibalizzare tutti gli spazi utili, da qui al Mondiale in Qatar. Scherzi di un calendario inflazionato, dunque, con il campionato a riempire stranamente gli ultimi sprazzi d’agosto.

La rivincita del match che la scorsa annata fece da crocevia, in negativo, alle velleità scudetto degli azzurri, chiude quindi la terza giornata. Né vendette, però, tantomeno pretestuose rivalse.

Nella notte dell’Artemio Franchi, gli ospiti conquistano un punticino, buono per reiterare l’entusiasmo e mantenersi in classifica nel gruppone di testa.

Una Viola assatanata inizialmente

Siamo ancora all’alba della stagione, eppure per la squadra di Spalletti il primo scontro diretto ha avuto un notevole peso specifico.

Inizialmente, a mettere in grande difficoltà il tecnico di Certaldo ha provveduto il pressing altissimo dei gigliati, associato ad asfissianti marcature personalizzate, che impedivano al Napoli una fluida costruzione dal basso.

Disinnescata l’arma del possesso, con la quale i partenopei generalmente dominano il ritmo e dosano l’intensità della manovra, aumentando i giri del fraseggio o riposando con il pallone tra i piedi, la Viola ha sfruttato molto bene la catena sinistra.

Biraghi si alzava tantissimo in fascia, costringendo Di Lorenzo a tenere una posizione conservativa. Nel frattempo, Sottil accorciava verso i centrocampisti, determinando una linea di passaggio pulita. Ricevendo sostanzialmente smarcato alle spalle della mediana azzurra.

Situazione aggravata da una certa pigrizia in fase di non possesso palesata da Lozano, indubbiamente anarchico anche offensivamente. Combinata con l’ammonizione rifilata ad Anguissa dopo nemmeno due minuti. Che ne ha inevitabilmente smorzato la cattiveria agonistica, suggerendogli di dosare la forza nei contrasti. Per il resto, veramente sontuoso il camerunese, per come ha amministrato il giallo.

Quei cambi che ribaltano l’inerzia

Insomma, il Napoli aveva immaginato di gestire con qualità l’attrezzo. E invece s’è trovato a soffrire.

Perché ci sono le variabili, che un allenatore, pur preparando il piano gara nel miglior modo possibile, non può affatto preventivare. Questa la dura legge del gioco, dove passione e ragionevolezza spesso si scontrano con l’imponderabile.

Davvero troppo isolato Osimhen, la squadra partenopea ha provato a “mangiare” il campo soltanto con gli strappi individuali di Kvaratskhelia, intestarditosi, tuttavia, nel tentare di creare superiorità numerica in dribbling.

Decisivi i cambi a mezz’ora dal termine. I guizzi di Raspadori tra le linee, equilibrati dai ripiegamenti in copertura di Elmas, entrato luogo del non pervenuto talento georgiano, hanno aggiunto estro e fantasia.

Il Napoli ha guadagnato terreno, spostando la palla da un lato all’altro del fronte d’attacco. Senza perdere comunque le distanze, rimanendo costantemente corta tra i reparti, in maniera tale da rispondere al dinamismo della squadra di Italiano con palleggio e ripartenze.

Napoli lungo e forte mentalmente

Se ormai è innegabile che a fare la differenza sono i cinque cambi, Spalletti ha pescato dalla panchina freschezza e personalità, tali da garantirgli rinnovate energie nei minuti finali.

Specialmente quando il tecnico toscano ha deciso che era squillata l’ora di Ndombele, diminuendo la qualità e aumentando la corsa.

In definitiva, nonostante il calcio non conosca equilibrio, al pareggio di Firenze bisogna attribuire una accezione tutt’altro che negativa, evitando di svalutare rapidamente il giudizio lusinghiero sul Napoli.

Chiaramente se solo qualche giorno fa gli azzurri sembrava potessero edificare tutte le loro partite su intensità e qualità del gioco, stasera hanno dimostrato intelligenza nelle letture e sagacia tattica. Nonché una consapevolezza mentale che lascia ben sperare per il futuro.

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