E’ risaputo che nel calcio esistono le categorie, in grado di ordinare il talento sulla scorta di precise caratteristiche tecnico-tattiche. Partendo da questo elementare presupposto, magari le prime due partite del Napoli, a tratti sontuose per la qualità del gioco espresso, avevano lasciato immaginare scenari fantasmagorici, che la Fiorentina ha parzialmente ridimensionato.

In effetti, contro Verona e Monza, letteralmente schiantate dalle geometrie di Stanislav Lobotka, gli azzurri hanno costruito un doppio convincentissimo successo. Ad ispirarlo, proprio la spinta propulsiva dello slovacco, salito in cattedra a dispensare regia illuminante in fase di possesso. Senza, al contempo, trascurare di spendersi sotto la linea della palla, lavorando alacremente in copertura.

Insomma, il numero 68 garantisce a Spalletti quell’equilibrio necessario in mediana per decidere quando sia il caso di aumentare la corsa, rispetto alle volte in cui, invece, è preferibile accantonare il fioretto e sguainare la sciabola.

Perchè, se non inventa, canta e porta la croce. Così da rientrare naturalmente nel ristretto gruppo dei giocatori di un’altra categoria. Una interpretazione talmente efficace del ruolo di pivote, da scomodare addirittura improponibili accostamenti. Tipo quello con Iniesta

Lobotka schermato e limitato

Nondimeno, al Franchi, Lobotka è apparso in notevole difficoltà. A definirne i primi 45 minuti una mancanza di lucidità causata dall’atteggiamento assai aggressivo della Viola. Italiano, infatti, aveva immaginato di sottrarre il dominio dell’attrezzo ai partenopei, con una pressione altissima, combinata ad asfissianti marcature personalizzate.

La strategia dell’allenatore gigliato prevedeva Amrabat a uomo sulla principale fonte di produzione del gioco napoletano. Un pressing continuo, che ha schermato il metodista slovacco, escludendolo dalla centralità della manovra. Al punto da creargli non poche difficoltà nella gestione del possesso.

Soffocati sul nascere i meccanismi di uscita dal basso, la sola alternativa concessa al Napoli per “mangiare” rapidamente campo era capitalizzare il lancio lungo verso la trequarti altrui. La penuria di linee di passaggio utili, quindi, suggeriva di affidarsi alle letture di Meret. Una scorciatoia necessaria a scavalcare il centrocampo, funzionale a stimolare il movimento incontro di Osimhen, perdurando l’incapacità di sorpassare il blocco avversario.

Sostituzioni che incidono

Per fronteggiare la pochezza di idee della sua squadra, dopo un’ora Spalletti ha fatto due cambi e modificato il sistema, passando al 4-2-3-1. L’inserimento di Elmas sulla linea dei trequartisti e Raspadori da sottopunta, a gravitare alle spalle del centravanti nigeriano, hanno accorciato di fatto il Napoli. Con l’ex Sassuolo (quasi…) perfetto nel favorire la cucitura del gioco e la ripartenza in transizione.

Un mutato contesto che ha generato nello stesso Lobotka rinnovati impulsi, migliorandone reattività e circolazione della palla, soprattutto a distanze corte e medie.

Un segnale positivo, dunque, per il futuro della squadra partenopea. Che domenica sera, nel finale di un match tiratissimo, ha scelto consapevolmente di prendere pochi rischi, aggrappandosi alla fisicità dei suoi centrocampisti. Oltre alla compattezza del pacchetto arretrato.

Un punticino di buon auspicio, che ci può stare, al netto delle potenzialità della Fiorentina. Senza dovere necessariamente trarre conclusioni affrettate circa le imperfezioni palesate al cospetto dei viola.

Il turno infrasettimanale di domani con il Lecce dirà qualcosa in più sul reale valore del Napoli attuale.

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