La vittoria contro la Roma, pur non indirizzando definitivamente la storia del campionato a favore del Napoli, ne certifica la fuga in solitario. I 13 punti di vantaggio che ha accumulato sull’Inter, seconda in classifica, rappresentano un margine ragguardevole. La stagione, ovviamente, non è ancora finita. Ma lasciano comunque ben poche speranze agli inseguitori di colmare il gap con gli azzurri.

Specialmente se la squadra di Spalletti continuerà a macinare gli avversari, anche quando fatica a imporre il suo proverbiale palleggio, a causa di una manovra sicuramente meno fluida del solito. Del resto, il piano gara pensato da Mourinho per disinnescare il calcio assai qualitativo prodotto dalla capolista, con pressing alto e Pellegrini piazzando letteralmente a uomo sulle tracce di Lobotka, per impedirne facili ricezioni, aveva consentito ai giallorossi di restare a lungo in partita.

Bile inacidita per alcuni

Insomma, il Napoli mantiene intatte le sue chances di conseguire l’Obiettivo pure le volte in cui, alla bellezza del suo gioco, preferisce privilegiare il grande pragmatismo.

Che generalmente – almeno in Serie A – si associa alle squadre di successo. Quelle che magari soffrono in taluni frangenti. Nondimeno, riescono a sfangarla in virtù di infinite risorse. Nel caso del match con i giallorossi, panchina lunga e individualità superiori alla media.

E poco importa se una pletora di opinioniente, quando analizzano il cammino degli azzurri, piuttosto che esaltarlo, provino a sminuirne continuamente i meriti. In tanti, forse davvero troppi, tra addetti ai lavori e voci tecniche, ripetono ormai le stesse cose da un mucchio di tempo.

Ovvero, che questa è una stagione tremendamente anomala. E come tale deve essere giudicata. Va da sè che costoro sostengono palesemente un falso storico. Anzi, nei loro commenti, senza alcuna trasparenza, difendono l’indifendibile. Evitando di sottolineare quanto, in ottica Scudetto, inconsistenza e impalpabilità della concorrenza non dipendano direttamente dal Napoli. Bensì, dalla incapacità di chi ha costruito queste squadre, oppure le dirige dalla panchina.

Manco 53 punti in 20 giornate non contassero nulla…

L’amicizia genera pregiudizi

La leggerezza con cui si vuole assolutamente giustificare i danni inenarrabili compiuti da direttori vari e allenatori assortiti non può che essere motivata dalla manifesta volontà di non ledere certi rapporti di amicizia, consolidati da innumerevoli stagioni condivise nel medesimo spogliatoio.

Così, (presunti…) conoscitori della materia, preferiscono glissare sulle reali motivazioni che sono alla base del momento profondamente deludente che accomuna Milan, Inter e Juventus.

Se le due milanesi hanno una proprietà invisibile o lontana, in ogni modo, assente, lo stesso non può dirsi della Vecchia Signora. Che invece paga dazio ai comportamenti discutibili della Triade. La seconda, dopo quella già sonoramente bacchettata dalla Giustizia – sportiva e ordinaria – composta da Moggi, Giraudo e Bettega.

Bisogna poi spendere una parola sul mercato delle “strisciate”. Appare evidente che la loro campagna acquisti sia stata sbagliata. Prendiamo per esempio i rossoneri, Campioni d’Italia in carica. Andando a braccio: De Ketelaere ne deve mangiare di bistecche, per scalare i gradini che conducono all’Olimpo calcistico. Origi necessita di una messa a punto generale, che ne rettifichi il fisico arrugginito. Thiaw, Vrancks e Dest, possono dare un buon contributo uscendo dalla panchina. E poco altro.

L’Inter paga la mancanza di personalità di Simone Inzaghi. Un bravo allenatore, in grado di creare ottimi rapporti con i calciatori. Ma è un’aziendalista sfegatato. Una qualità in altri settori. Una tara nell’italico pallone, in mano a giocatori perlopiù viziati e arroganti. Manovrati da cinici e spietati procuratori.

Mentre sulla capacità di saper comprare e vendere dei bianconeri, meglio stendere un velo di pietoso silenzio. Almeno in questa sede…

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