Mancano poco meno di ventiquattr’ore al calcio d’inizio del Mondiale in Qatar. Un torneo per certi versi storico, poiché rappresenta la prima volta che una nazione araba ospita la principale rassegna del pallone globalizzato.

Indubbiamente, l’edizione della Coppa del Mondo 2022 porta con sé un mucchio di attese. Al contempo, sarà una delle più controverse, a causa delle innumerevoli contraddizioni insite nel paese organizzatore. Che tuttavia, a suo tempo, hanno comunque convinto la Fifa nel privilegiare la candidatura di Doha, piuttosto che rigettarla.  

Al netto dei molteplici coni d’ombra che sono dietro questo Mondiale, però, appare evidente che da domani scenderanno in campo (quasi…) tutti i migliori giocatori del pianeta.

Con doverose eccezioni, ovviamente. Tra quelli che non sono riusciti a qualificarsi alla fase finale con la loro nazionale, costretti dunque a guardare la kermesse davanti alla tv, comodamente seduti sul divano di casa, c’è anche Victor Osimhen.

Oltre spazi e profondità

Davvero un peccato. Perché attualmente, nel panorama internazionale degli attaccanti che spostano gli equilibri di squadra, “sente” la porta come pochi altri.

Una qualità intuitiva, che il centravanti del Napoli ha affinato negli ultimi mesi. E che ne ha arricchito il bagaglio, ampliandolo ben oltre le naturali caratteristiche tecnico-tattiche. In grado di renderlo praticamente immarcabile per chiunque, se lanciato nello spazio.

Per comprenderne appieno l’evoluzione, occorre fare una breve premessa. Appena sbarcato all’ombra del Vesuvio, Osimhen era considerato devastante quando poteva aggredire la profondità, alle spalle della difesa avversaria.

La consapevolezza che non gli avrebbero sempre concesso di sfruttare movenze da gazzella e felina esplosività, con addosso uno o più marcatori, ha obbligato il nigeriano a trasformarsi in un offensive player completo. Dall’indole maggiormente associativa, in grado di essere ingiocabile in situazione di isolamento. Ma pure lavorando con, ed in funzione, dei compagni.

Insomma, si abbassa e cuce la manovra con la stessa attenzione con cui poi ne finalizza lo sviluppo.

Bellezza ed efficacia

Un gol come quello segnato alla Roma, per esempio, certifica un controllo perfetto dei fondamentali, che trascende la mera identificazione iconografica di Osimhen esclusivamente come una pantera nera: sinuosa e scattante. Nondimeno, letalissima.

L’esecuzione del tiro al volo con cui ruba il tempo dell’anticipo a Smalling, disegnando la parabola assassina che spedisce il pallone lì dove Rui Patricio non può mai arrivare, racchiude in sé bellezza ed efficacia del gesto.

Un dominio del corpo, nonostante sia controllato in maniera asfissiante, abbinato alla capacità di coordinarsi, impattando la palla esattamente dove la sua immaginazione l’aveva fatta già cadere, prima ancora che effettivamente arrivasse l’assist.   

Osimhen ferocemente determinato

Senza trascurare momenti come quello con l’Udinese, quando gira in rete un cioccolatino di Elmas con una zuccata perfetta, per timing, nonché debordante fisicità. Attraverso la quale va su forte sulle gambe, all’appuntamento con l’attrezzo, e contemporaneamente crea separazione dal suo francobollatore.  

Il bello di Osimhen è questa innegabile versatilità offensiva, che impreziosisce continuamente, inventandosi occasioni diverse le une dalle altre negli ultimi sedici metri.

Il gol all’Ajax, in Champions League, testimonia la feroce cattiveria agonistica che ne alimenta il modo elettrico di stare in campo. Lo spirito con cui attacca una palla innocua, che sembra ormai in possesso di Blind, scippandogliela letteralmente dai piedi, è la cartina di tornasole di un attaccante che non tiene assolutamente la pancia piena. Anzi, insegue una vittoria di prestigio.

Magari traendo ispirazione proprio dalla delusione Mondiale, il numero nove in maglia azzurra potrebbe voler spostare l’asticella degli obiettivi stagionali verso vette fino a qualche settimana fa soltanto immaginabili dalle parti di Castel Volturno. 

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