Dalla partita di ieri il Napoli pretendeva risposte concrete, per un mucchio di motivi. Innanzitutto, perché gli occhi erano tutti puntati sulla capolista, chiamata a confermare quanto avesse metabolizzato le soluzioni architettate da Spalletti contro avversari dall’atteggiamento tendenzialmente statico. Attestati col baricentro basso, ben piantato nel cuore della propria metà campo.

Sin dalle prime battute lo Spezia ha impostato il piano gara scegliendo di provare a controllare il ritmo, limitando al contempo qualsiasi pretesa offensiva. Preoccupandosi quasi esclusivamente di fare densità ed occupare lo spazio centrale.

Giropalla mai vanaglorioso

Altro che 3-5-2. In realtà, Gotti ha optato per un più ermetico 5-3-1-1. Nella fase di non possesso, infatti, le punte dei liguri si sono posizionate in verticale. Con Verde a schermare Lobotka, e Shomurodov tra i centrali difensivi, deputato alla copertura delle linee di passaggio verso le mezzali alle proprie spalle.

I movimenti coordinati di Anguissa e Zielinski impedivano che i padroni di casa traessero vantaggi dalla ipotetica superiorità numerica in mediana. Sostanzialmente annullata grazie anche al lavoro di esterni e terzini, che hanno consentito al Napoli di portare con facilità il pallone nella trequarti altrui. Nonostante lo Spezia avesse ammassato tanti giocatori nella propria metà campo.

Volendo essere puntigliosi, sarebbe giusto rimarcare che l’incapacità di Lozano nelle letture ha ridotto la pericolosità offensiva sulla fascia destra. Disinnescando, di fatto, il gioco in catena assieme a Di Lorenzo. Uno dei punti di forza da sfruttare contro chi si oppone sottopalla a difesa schierata, con compattezza e solidità. Non è un caso se a destra, l’ingresso di Politano abbia poi determinato una maggiore efficacia nel gioco in ampiezza.  

Diverso lo sviluppato sul lato opposto. La naturale tendenza di Mario Rui ad aprirsi molto ha generato le premesse per combinare con Kvaratskhelia. Un pattern che stimolava l’inserimento del georgiano, assorbito dall’uscita di Ampadu, che però rompeva l’allineamento, quando Amian si alzava a contrastare il portoghese.

A fare la differenza, come sempre, il tradizionale possesso, nient’affatto precipitoso. Che permette agli uomini in maglia azzurra di mangiare porzioni abbondanti di campo, mantenendo le distanze costantemente strette e corte.

Voglia di sporcarsi le ginocchia

In questo scenario bisogna aggiungere che pur senza stravolgere i principi stessi su cui ha fondato la fuga solitaria in testa alla classifica, Spalletti sta cambiano pelle alla sua squadra.

Non solo, quindi, un calcio qualitativo, condotto ad alta intensità, attraverso una ragnatela fittissima di passaggi su distanze brevi: reticolo funzionale a fiaccare l’avversario, manipolandone la compattezza tra i reparti. Così da obbligarli a continui adattamenti, onde evitare di lasciare agli azzurri quegli spazi, che poi trasformano in nitide occasioni da rete.

Attualmente, l’allenatore toscano ha arricchito l’identità della squadra con pressing e difesa aggressiva in avanti. E quando un avversario tipo lo Spezia impone un contesto dai ritmi lenti, il Napoli manifesta la volontà di recuperare subito la palla.

Una forma di controllo tattico del match. La consapevolezza che recuperare subito la palla determina rapide ripartenze. Mortifere come l’azione che prende spunto dall’aggressione di Lobotka ai danni di Caldara: “scippo” rifinato da Kvaratskhelia con l’assistenza per Osimhen

Per questa ragione, dunque, vittorie come quella del “Picco” sono fondamentali, al netto delle considerazioni di carattere meramente tecnico e di classifica. Prevalgono le ripercussioni emotive che una partita del genere può produrre all’interno della stagione partenopea.

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