Dopo una cavalcata lunga e faticosa, il Napoli è Campione d’Italia. Giusto epilogo di una stagione letteralmente dominata, cui mancava soltanto un pezzettino per rendere il viaggio definitivamente concluso.

La partita con l’Udinese è stata un’altalena di emozioni. La squadra di Spalletti appare indubbiamente a corto di benzina. Gli azzurri sono rimasti con pochissime scorte di glicogeno nelle gambe. Meno male, però, che basta e avanza per arrivare a destinazione.

E allora, un destro assassino nel ferro di Lovric, che smorza leggermente gli entusiasmi iniziali. Il calcione rifilato in piena area da Bijol sulla sterzata di Kvaratskhelia, cancellato dal check al VAR. I riflessi di Meret, ancora sul tracciante del centrocampista sloveno. La capocciata in sospensione di Osimhen, che sfiora il palo.

Quindi, i bianconeri che palleggiano con qualità e personalità nei denti della capolista. Fino alla parata di Silvestri ed il tap-in da delirio del centravanti nigeriano, simbolo perfetto dell’eroe mascherato, senza macchia e senza paura.

La gara della “Dacia Arena” può benissimo essere riassunta così, è quanto il Napoli s’è concesso in Friuli. Briciole superflue di un giorno atteso come il Messia. Ben altra, la parte importante della storia. Quella che finisce direttamente in calce negli almanacchi. E si imprime alla stregua di un ricordo indelebile nella memoria collettiva. Finalmente arriva il conforto dell’aritmetica a sovrapporre gli abbracci carichi di entusiasmo alle lacrime di gioia. 

Muti… e salutate la capolista

Innegabile, tuttavia, che in questo preciso momento, sparse a macchie di leopardo sull’intero territorio nazionale, ci sia pure un’abbondante porzione di persone accidiose, che si sentono legittimate a storcere il naso.

Un mero esercizio di invidia rancorosa, il loro dissapore, ascoltando il classico jingle, ritmato come una nenia ossessiva: “E se ne va… la capolista se ne va…”, che fa da contraltare al sacrosanto diritto, per i napoletani, di prendersi il palcoscenico, senza alcuna concessione da parte altrui.

Che tacciano dunque quelli che sulla scorta di un modo di pensare imperfetto e surreale si amareggiano per la gioia esplosa in Friuli. Perché a forza di gridare “Vesuvio erutta… tutta Napoli è distrutta…”, l’ombra del vulcano ha fatto da cornice al battito impetuoso di una passione (quasi…) innaturale. In grado di accomunare spontaneamente e profondamente il cuore pulsante di chi vive nei vicoli, oppure sulle colline borghesi. Senza tralasciare il centro storico illuminato dai turisti o le periferie piene di speranze.

Faccia altresì silenzio chi ha vomitato veleno per settimane, magari addirittura per anni, sventolando ossessivamente luoghi comuni e pregiudizi ideologici su Partenope ed i suoi abitanti. Specialmente chi ha glorificato il mancato festeggiamento post derby, mentre uno stadio leggermente deluso ma non sconfitto cantava a squarciagola “Sarò con te e tu non devi mollare… abbiamo un sogno nel cuore… Napoli torna Campione…”.

Napoli si tinge d’azzurro

Si adegui chiunque abbia sostenuto che Napoli è un magnifico presepe. Ma a renderlo invivibile, deturpandone la bellezza, i suoi gretti pastori. Inadatti sostanzialmente a godere di tanta avvenenza. 

Che il delirio abbia inizio, quindi, manifesto di un popolo che non aspettava altro, pronto a festeggiare fino in fondo. La città e la sua gente merita un’esplosione di colori e suoni capaci di tinteggiarne le emozioni con variegate sfumature di azzurro.

Insomma, lasciateci godere in santa pace le sensazioni che porta con sé una dolce attesa protrattasi per trentatré lunghissimi anni. Al limite, provate a farlo assieme a noi. Altrimenti, se proprio non ci riuscite, fatevi da parte.  

D’altronde, siete comparse di un colossal che non vi appartiene: questa resta la festa dei napoletani. Come nel 1987 e poi nel 1990 saranno loro a ricordare con amore le sensazioni forti di chi l’ha resa veramente possibile. I giocatori, l’allenatore, la società…

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