“Scherzo in musica in due tempi”: questo nell’intenzione dei protagonisti è “I Cavalli di Monsignor Perrelli”, che dopo essere stato al Sannazzaro in questi giorni è all’Augusteo. Scelta già questa un po’ particolare, giustificata da un cambio in corsa nel cartellone del Teatro di Piazzetta Duca D’Aosta.

Classica commedia all’italiana, senza eccessive pretese, se non quella di regalare un paio di ore di allegria. Un copione che sembra fatto per esaltare le doti di recitazione di Peppe Barra, nell’occasione Meneca, petulante e fedele perpetua di uno strampalato religioso, Monsignor Perrelli. Un Peppe Barra che torna a vestire panni femminili, dopo i fasti della Gatta Cenerentola.

Trama semplice, si diceva. Monsignor Perrelli sacerdote napoletano dei tempi di Re Ferdinando IV, che ha velleità di essere scienziato, che ne combina di tutti i colori. E Meneca, fedele perpetua, che lo critica, ma lo asseconda un po’ rassegnata, un po’ perché in fin dei conti le conviene. Soprattutto perché vuol bene allo sconclusionato religioso.

La cosa sorprendente non è la trama, ma il fatto che Monsignor Perrelli non sia un personaggio di fantasia, ma sia realmente esistito. Del resto quando un personaggio ed una storia sono totalmente inverosimili quasi sempre sono reali. Monsignor Perrelli è vissuto davvero e addirittura si dice che Re Ferdinando IV, per cominciare in allegria la sua giornata, chiedeva ogni mattina: “Su raccontate, cosa è uscito ieri dalla bocca del nostro Monsignore?”.

La trama l’abbiamo detto è semplice, senza pretese. Un pretesto per scatenare la vis comica di Peppe Barra, che rende al meglio nei suoi soliloqui rivolti al pubblico in sala. Il protagonista del racconto è Monsignor Perrelli, un convincente Patrizio Trampetti. I cavalli di Monsignor Perrelli sono due povere bestie destinate alla morte dalla pretesa del proprietario di farli vivere senza mangiare. Un evidente assurdo, una follia, che rende l’idea di che personaggio sia. Del resto chi arriva ad affermare che il mare è salato a causa delle alici salate che lo popolano…

La “follia” del personaggio si manifesta pienamente nella scena in cui scrive ad una marchesina una lunga lettera in cui spiega di aver perso un prezioso oggetto in argento nel corso della sua ultima visita. Salvo poi trovare lo stesso oggetto in una delle tasche dei suoi pantaloni e nella stessa lettera avvisa la Marchesina di non preoccuparsi più, avendo lui risolto il problema. Lettera che pretende sia in ogni caso recapitata.

La commedia concepita come un atto unico, è stata, saggiamente, divisa in due parti. Del resto più che un racconto omogeneo sono tante piccole storie che vivono di vita propria. Legate unicamente dai due protagonisti. A legare le scene tra loro intermezzi musicali, con Luigi Bignone ed Enrico Vicinanza, oltre ad adeguati giochi di luce che idealmente sostituiscono il sipario.

Spettacolo gradevole, come detto senza pretese, nel solco della tradizione del teatro comico napoletano. Unica pecca: l’audio non era perfetto, quanto meno la sera della prima. Spesso si faceva fatica a percepire le parole dei protagonisti. Ma questo potrebbe avere una giustificazione. Magari il passaggio da una sala “normale” come quella del Sannazzaro, ad una molto più grande come quella dell’Augusteo ha comportati problemi che dovrebbero essere facilmente risolvibili.

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