Comincia stasera con l’amichevole contro la Turchia il cammino che porterà l’Italia alla fase finale dell’Europeo tedesco, al via il 14 giugno. Nella consueta conferenza stampa della vigilia Luciano Spalletti ha già annunciato che giocherà Guglielmo Vicario. Una scelta, quella del commissario tecnico, che premia la costanza nel rendimento dimostrata dal portiere rivelazione del Tottenham nell’arco dell’intera stagione. Togliendo anche i dubbi residui circa il ruolo del dodicesimo, scalzando Meret. Definendo così le gerarchie alle spalle di Donnarumma.

Una sorta di ideale passaggio di consegne tra chi, dopo una lunga gavetta, è arrivato a difendere i pali di un club di prima fascia in Premier League. Anziché esplodere immediatamente al culmine di grandi previsioni giovanili. Una parabola che sembra ricordare come l’estremo difensore del Napoli, nell’immaginario collettivo, perlomeno all’ombra del Vesuvio, venga considerato sempre un po’ sopravvalutato. Forse non abbastanza decisivo per i gusti dei suoi tifosi nell’incidere sulle sorti della squadra partenopea.   

La parabola di Meret

Un preconcetto probabilmente figlio dell’eccessiva aspettativa generata a suo tempo dall’acquisto dell’Airone, emerso frettolosamente come predestinato. Un’etichetta che poi l’ha costretto a crescere sotto la luce dei riflettori, senza il lusso di poter sbagliare nulla. Magari sarebbe stato meglio maturare con calma il proprio stile di gioco, fino a consolidare l’innegabile talento messo in mostra precocemente.

Senza trascurare che in questi anni le legittime perplessità su Meret riguardavano soprattutto la continuità. Poiché gli infortuni, associati al dualismo con Ospina, avevano contribuito a sottrargli il ritmo gara, producendo di conseguenza qualche imprecisione o sbavatura di troppo, tollerate solo temporaneamente nella stagione dello scudetto. Caratterizzata da ottimi interventi: il giusto mix di riflessi ed esplosività degna di chi para per i Campioni d’Italia.

Non a caso, nell’annata fallimentare appena terminata, i giudizi della critica ne hanno intaccato l’emotività nel gestire le inevitabili pressioni di doversi confermare ai massimi livelli. La fatidica “prova del nove”, quindi, doveva essere quella di assumersi la responsabilità di giocare costantemente e con disinvoltura sotto i riflettori. Invece, come i suoi compagni di squadra, è apparso intimorito dal tricolore cucito sulla maglia.   

La consacrazione di Vicario

La storia di Vicario racconta una scalata incredibile, partita talmente dal basso prima di arrivare in A, da spulciare addirittura gli almanacchi della Serie D per trovarne traccia: una metafora che serve a comprendere appieno la portata del suo percorso. E pensare che nella stagione 2013-14 militava nelle giovanili dell’Udinese insieme a Scuffet e Meret. Peccato che dei tre venisse considerato dagli addetti ai lavori il meno futuribile in prospettiva.

La stagione straordinaria vissuta in una realtà diametralmente opposta a Empoli, dove la scorsa stagione aveva palesato un repertorio sostanzialmente privo di debolezze, ha aperto nuovi scenari pure in Nazionale. Nondimeno, il passaggio dalla provincia italiana in quella che a tutti gli effetti rimane la Lega più competitiva d’Europa rappresenta uno spartiacque nella carriera di Vicario. Se aleggiavano perplessità sulla capacità di adattarsi immediatamente al passaggio dalla lotta per la salvezza all’alta classifica, oggigiorno un numero impressionante di match in Premier iperperformanti non lasciano spazio a interpretazioni di sorta: la consapevolezza di essere giunto al top.

La conferma di uno straordinario momento di forma, che non basterà sicuramente a scalzare Donnarumma. Ma costituisce al contempo una minaccia reale per Meret.

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