Il primo tempo di NapoliAtalanta è stato uno spettacolo davvero deprimente, con gli azzurri del tutto incapaci di palleggiare con ritmo e qualità al cospetto di un avversario ferocemente aggressivo in ogni zona del campo, determinato a non concedere nessuno spazio al calcio dei Campioni d’Italia (sic…). Anche perché l’approccio degli uomini di Calzona al match di ieri ha prodotto null’altro che uno sterile giropalla perimetrale fine a sé stesso, con i padroni di casa che insistevano nel disegnare una sorta di U, senza imbucare mai dietro le linee di pressione orobiche. Mentre il pallone va gestito con l’idea di verticalizzare e non lasciar trascorrere pedissequamente il tempo. L’obiettivo dovrebbe essere quindi quello di ricercare continuamente il “terzo uomo”. Altrimenti diventa praticamente inutile.  

Sostanzialmente, lo scambio posizionale e le rotazioni, da tempo caratteristiche proverbiali della squadra partenopea, sono ormai un lontano e sbiadito ricordo. Nondimeno, sembra che chiunque si sia accostato alla panchina in questa sciaguratissima stagione post scudetto abbia sentito l’esigenza di insistere sul possesso dominante come stile di gioco. Risentendo ancora delle influenze e dei lasciti tattici di Spalletti. Magari condizionato dalla necessità emotiva di voler in qualche modo emulare l’Uomo di Certaldo.

E se Garcia ha pensato che l’unica direzione possibile per legittimarsi agli occhi di un gruppo “vincente” fosse tentare di limitarne il talento individuale e collettivo, forzando il percorso del cambiamento non attraverso il dialogo, bensì con lo snobismo tipico di chi si atteggia a radical chic. Come se la sua sola presenza costituisse garanzia di successo, anche se la realtà del campo stava mostrando decisamente il contrario. Mazzarri invece s’è sforzato di giocare in una maniera che non gli era affatto congeniale. Forse condizionato da chi glielo aveva “gentilmente” suggerito, se non addirittura imposto più o meno velatamente.

Epitaffio Napoli

Insomma, la lezione impartita da Gasperini al “Maradona” rappresenta l’ideale epitaffio di questo Napoli. In effetti, ieri l’Atalanta ha ampiamente dimostrato quanto sia evoluta rispetto a principi arcaici, che presuppongono esclusivamente fisicità e poco altro.  

Adesso nelle stanze del potere, alla Filmauro, urge gettare le fondamenta di una ricostruzione non soltanto necessaria, ma imposta dal fallimento di ogni obiettivo prefissato dalla presidenza non più tardi di dodici mesi orsono. Il primo tassello, imprescindibile per edificare un “nuovo” progetto tecnico-tattico, rimane proprio la scelta dell’allenatore.     

Partendo da un presupposto fondamentale: sta emergendo un’altra filosofia calcistica, anch’essa contemporanea e moderna, al pari del tiki-taka.  Un gioco anch’esso identitario, aderente a un modello sempre più diretto e verticale, simile per esempio a quello della Dea bergamasca, oppure all’Inter che si appresta a vincere il campionato. Che non equivale assolutamente a puntare sulla rigidità difensiva, associata a rapidi contropiede. Perché Gasperini e Simone Inzaghi hanno contribuito a plasmare squadre comunque dotate di grande qualità.   

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