Luciano Spalletti, tecnico degli azzurri, nella edizione odierna de Il Mattino, si e visto “recapitare” una lettera, scritta dopo la vittoriosa gara di Champions contro l‘Ajax, che riguarda il suo modo di vivere la vittoria, ed i suoi stati d’animo, che molte volte, sono sembrati sia scostanti che anche incredibilmente intolleranti, allo gioire per un traguardo prestigioso raggiunto. Primi, per ora, in Italia ed in Europa, eppure…Ma ecco che, l’amico del cuore, il giornalista Giancarlo Dotto, fa’ chiarezza sulla persona di Lucio, lui che conosce bene il tecnico di Certaldo, per far luce, finalmente, sul perché, Spallettone, come lo chiama simpaticamente il suo amico Mourinho, sembra essere così lontano, quando a gioire deve essere lui!

Vi invito a leggere con grande attenzione, oltre alla bellezza dela narrazione, vi sono tanti particolari che sarebbe bene andare a vedere, proprio per capirne i perche’, dei momenti del tecnico del Napoli. Di seguito la lettera pubblicata, nella edizione odierna, del quotidiano partenopeo:

Spalletti: Regalaci un sorriso

Essere (felici) o non essere? Sorridere (dopo un’altra goleada) o non sorridere? Da mercoledì sera, caro il nostro mister Spalletti, questo è il problema. Il tuo problema, ad essere precisi: noi a urlare di gioia, tu il solito freno a mano tirato. Ma si può?

Certo che sì, certo che si può, a dare ascolto alla diagnosi lapidaria che il giornalista Giancarlo Dotto, uno che ti conosce bene, ha consegnato ieri a Francesco De Luca: «Luciano non ha l’attitudine alla felicità». Alt. Fermi tutti. Altro che attore, come da autodefinizione consegnata all’ex collega Capello, evidentemente per confondere le acque. Houston, qui abbiamo un problema, mica bruscolini, per uno che sta accompagnando la sua squadra in paradiso.

Prima in campionato, prima in Europa, record di vittorie consecutive, record di gol fatti, record di tutto quello che è possibile fare nel gioco del pallone; senza dimenticare la botta di milioni già assicurata alle casse dell’azienda dal passaggio agli ottavi della Champions. E tutto questo soltanto in un mese: figuriamoci cos’altro c’è in serbo (d’accordo, ci potrebbe essere) per i destini azzurri da qui in avanti (d’accordo, non indichiamo scadenze né traguardi più o meno immediati, meglio non esagerare, troppa fame di felicità può far male).

E tuttavia, caro Luciano, caro comandante di un’astronave di marziani travestiti da calciatori (o forse viceversa, questo non l’abbiamo ancora capito fino in fondo, però l’ha detto De Laurentiis che siete cosmici, il dubbio quindi è più che giustificato); tuttavia caro mister, che dopo un primo anno per così dire contraddittorio stiamo finalmente imparando a conoscere: se davvero questo problema dell’attitudine esiste, e in effetti dopo mercoledì tutti gli indizi raccolti porterebbero a questa conclusione, allora ascoltami bene: non ti preoccupare, si può guarire.

Qui, a Napoli, di mancata attitudine alla felicità non è mai morto nessuno, anche perché mai nessuno ci si è mai ammalato. Specie se quell’ipotetico candidato all’infelicità era tifoso del Napoli. Caro Luciano, la tua sarà senz’altro un’attitudine, e con il nostro aiuto vedrai che riuscirai a superarla, questa malattia poco meridionale, praticamente incompatibile con la militanza in uno stadio intitolato all’icona della felicità, però lasciatelo dire, a noi resta il dubbio che quella roba dell’attore che hai detto a Capello almeno un poco è vera. Che in realtà è per noi che lo fai.

Che non sorridi, non esulti, fai finta di niente. È che non vuoi che ci illudiamo, noi che troppe volte siamo arrivati a tanto così dal traguardo e poi è andata male, ci abbiamo sofferto, ci siamo anche arrabbiati, per usare un eufemismo. L’anno scorso, per esempio. Sì, ci siamo rimasti malissimo, e ancora non ci va giù, perché è stato il secondo scudetto in tre anni che abbiamo buttato al vento, che abbiamo regalato agli altri, e purtroppo anche tre anni fa di dritto o di rovescio ci entravi anche tu, nella disfatta finale, tu allenatore di quell’Inter incappata in una giornata per così dire (bianco)nera.

Lo sappiamo, è stata dura, dopo che ci avevi fatto ingolosire (DeLla dixit) con promesse di vera felicità (la nostra, tranquillo), è stata un’impresa convincerci che quel terzo posto in realtà valeva oro, ce l’hai messa tutta per farcelo capire, o più esattamente per farcelo digerire, ci è voluta un’estate intera e neanche ci è bastata, ma poi naturalmente hai avuto ragione tu. Sei passato dagli scudi alla polvere nel giro di otto giornate chi se lo scorda, è stata tosta per noi e anche per te, forse è lì che la malattia dell’inettitudine ha subìto un picco: meglio non sapere che sapore ha la felicità, se poi devi ingoiare tutta quell’amarezza.

Meglio il profilo basso, zitti e pedalare, meglio rinunciare ai voli effimeri dell’entusiasmo e attenersi ai fatti. Se questa era la lezione che volevi darci, mister Spalletti, l’abbiamo imparata. Noi perdevamo tempo e fegato a torturarci sulle partenze che mai avremmo voluto vedere, a prefigurare lunghe stagioni di inevitabile mediocrità dopo i fasti della magnifica anche se illusoria Grande Bellezza, e tu, profilo basso e serietà, stavi mettendo a punto la più grande macchina da gol che si sia mai vista in un campionato italiano.

 Tu ci giuravi che ci saremmo innamorati di nuovo, che tu e la tua nuova squadra l’avresti fatto, e noi scettici, anzi di più: increduli, diffidenti, sicuri di essere bidonati. Quindi scusaci, caro Luciano, scusa questi tifosi irruenti e passionali che non sanno aspettare, e a volte non sanno neanche rispettare. Però adesso che abbiamo capito, per favore spiegaci: davvero non esulti, davvero non ti esalti perché non ci sei fatto? O piuttosto c’è qualcosa che temi, la tempesta dopo la quiete, un imprevisto, una Juventus alla riscossa come Braccio di ferro, un Inzaghi che irrompe travestito da Zorro, o peggio ancora qualcuno dei nostri marziani teletrasportati da altre navicelle in altri campionati? Dai che ti abbiamo strappato un sorriso.

E allora, mister Luciano il Freddo, Luciano l’Attore, vedi che si può. Regalatelo questo sorriso, e impara con noi: l’attesa della felicità, a Napoli, è essa stessa felicità. 

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