Finora si sono giocate otto giornate di Serie A, decisamente poche per avere certezze granitiche circa l’esito finale della lotta scudetto. Eppure il percorso tenuto dal Napoli è comunque in grado di fornire indicazioni utili per comprendere lo stato di salute degli azzurri. Il lunch-match contro l’Empoli ha contribuito a far emergere ulteriori spunti interessanti circa l’effettiva possibilità della squadra di Conte nel potere trascendere addirittura il mero piazzamento tra le Fab Four. Aspirando a ben altro.

Abbastanza intuitivo, il motivo: la capolista – tornata in vetta con 3 punti di vantaggio sulla Juventus – ha strappato al Castellani una vittoria veramente sofferta, sudando e sbuffando come non le capitava dall’esordio stagionale a Verona. Sarà pure demagogico rimarcare quanto le classiche partite “sporche” possano pesare parecchio nell’economia di un campionato.

Nondimeno, l’atteggiamento un po’ timido, almeno nei primi 45’, dopo ha fatto posto a un evidente cambio di ritmo e intensità. Grazie alla ritrovata brillantezza nella trequarti altrui di Kvaratskhelia. Bravo a sfruttare gli spazi creatigli in modo chirurgico da un indiavolato Simeone, subentrato a mezz’ora dalla fine per uno spento Lukaku.

Napoli capace di soffrire

Innegabili i meriti da attribuire all’Uomo del Salento. Ovunque abbia lavorato è entrato immediatamente nella testa dei giocatori, convincendoli della bontà delle sue idee, al punto da farsi seguire in maniera incondizionata. Un coinvolgimento totale, che impatta sull’intera rosa, in primis mentalmente. Chiaro che sul piano squisitamente tattico esistano poi spiegazioni logiche. Pur soffrendo per larghi tratti al cospetto del pressing asfissiante predisposto da D’Aversa, il Napoli ha resistito efficacemente, abbinando una fase difensiva priva di rischi.

Ovviamente, ha dovuto concedere qualcosina in termini di conclusioni verso la porta di Caprile. In ogni caso, attento e assai reattivo a stornare i tiri degli empolesi. Al netto della inconsistenza nell’eludere la pressione dell’Empoli, il simbolo di ciò che sta implementando Conte nella testa dei suoi è la capacità di soffrire. Attaccano bene in talune circostanze e difendono meglio. O viceversa, a seconda dell’avversario di turno o dell’approccio alla gara.

Niente possesso, calcio più diretto

Nella ripresa è cambiata la scena. Accantonata la lentezza nel possesso, il dinamismo è tornato a farla da padrone, favorendo movimenti e giocate individuali. Inequivocabile che da lì in avanti il giropalla scolastico abbia lasciato il posto a imbucate e passaggi filtranti alle spalle della linea di pressione toscana. Siamo di fronte, dunque, a una inversione di tendenza. In passato il Napoli voleva indirizzare il gioco attraverso il possesso, mentre oggigiorno preferisce lasciare spesso il controllo del pallone agli avversari.

Paradossalmente, anche nella stagione fallimentare post scudetto, gli azzurri producevano una percentuale notevole di “dominio territoriale”. Un dato però inaffidabile, perché un conto è lo sterile palleggio perimetrale, funzionale esclusivamente a far ristagnare la manovra. Magari all’interno della propria trequarti. Ben altro determinare in zone cruciali del campo, cioè gestendo con qualità e intensità la palla nel terzo offensivo. In questo scenario c’è un fattore da non sottovalutare. Uno dei principi fondanti dei partenopei rimane mantenere un efficace baricentro medio.

Atteggiamento assai pragmatico, ideale per sviluppare un gioco maggiormente diretto e verticale. Quindi, passaggi lunghi per stimolare le ricezioni in profondità, convertendo in potenziali azioni pericolose i rilanci di Caprile. E se la giornataccia di Lukaku ha impedito di creare pericoli, ci ha pensato Simeone a togliere le castagne dal fuoco.

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