In gioventù ho avuto la fortuna di fare qualche tiro (a canestro) con alcune Stelle dell’NBA. Vi assicuro che dal vivo sembrano dei marziani, anche quando giocano con un ragazzino. Terminata la sgambettata, da tifoso appassionato, prima ancora che da cronista alle prime armi, ho letteralmente sequestrato i Giganti del basket: volevo sapere tutto.

Nessuno si è mai sottratto al mio desiderio di conoscenza. Al contrario, ricordo la straordinaria generosità nel raccontarsi senza filtri. Mi parlarono di canestri impossibili o giocate mancate, di avversari carismatici o compagni antipatici, di metodi di allenamento,di schemi tattici,di alimentazione, di tenute di gioco, di allenatori, di viaggi, di aerei privati, di feste, di ville da sogno, di droghe, di palazzetti sportivi, di telecronisti, di terminal, di infortuni e di tifosi vip. Chiaramente, da supporter dei Lakers ho voluto sapere cosa avevano provato a vedere a pochi centimetri di distanza una leggenda vivente come Jack Nicholson.

Una volta mi hanno raccontato che il vecchio parquet del Boston Garden (quello con il celebre disegno intrecciato) era talmente malandato che in alcuni punti la palla rimbalzava male. Ma i giocatori dei Celtics conoscevano ogni centimetro della loro casa (anche per questo vincevano sempre). Abbiamo parlato perfino di traslochi, perché l’organizzazione dell’NBA pensa proprio a tutto. Di un argomento non mi ha mai parlato nessuno: di arbitri. Nel campionato professionistico americano non sentirete discutere della designazione del mazzoleni di turno, o delle decisioni prese durante la gara. Semplicemente, perché nell’NBA gli arbitri non sono un argomento di conversazione, ma soprattutto non sono un fattore determinate ai fini del risultato.

Sette spose per sette sorelle

Ho già avuto modo di ricordare che nella storia dell’NBA, se si escludono gli anni ’60 dominati dai Boston Celtics, soltanto due franchigie sono riuscite a vincere il titolo per tre anni consecutivi: i Chicago Bulls e i Los Angeles Lakers. Le ragioni sono molteplici, tutte volte a creare un sistema sportivo equilibrato. Di sicuro la “questione” arbitrale è stata stoppata sul nascere per non minare la credibilità e il fascino del campionato.

Hanno fatto anche meglio nell’altrettanto celebre e ricca NFL (National Football League), dato che nessuna squadra ha vinto il titolo per tre anni consecutivi, la moviola è stata introdotta alla fine degli anni ’80 (per volere dei proprietari delle squadre) e gli arbitri (ben sette in campo!) comunicano al pubblico le loro decisioni per mezzo di microfoni. Pura fantascienza rispetto al mondo del calcio (che punta alla Super Lega o alla Super Champions) dove sospetti, veleni e “dinastie infinite” spopolano allegramente da troppi anni (e non solo in Italia).

Negli ultimi 30 campionati 15 squadre diverse hanno vinto il titolo nell’NFL, 11 nell’NBA, 5 nella Primera Division spagnola, 6 nella Bundesliga tedesca, 10 nella Ligue1 francese, 7 nella Premier League inglese (ma in 29 anni), 7 in Serie A. Va peggio se restringiamo l’intervallo di tempo agli ultimi 20 anni. Possiamo continuare a far finta di nulla, o trovare le scuse più risibili (nel corso di questi anni ne ho sentite di imbarazzanti), ma non è solo una questione di fatturati, che chiaramente pesano enormemente, specie da quando il calcio è divenuto industriale.

Per quanto mi riguarda, proprio per la particolarità del gioco, in un incontro di calcio il fattore arbitrale influisce considerevolmente ai fini del risultato, anche quando la differenza tra le due squadre è notevole. Basta una sola valutazione sbagliata per cambiare l’esito di una partita. A dispetto dello stucchevole (quanto fasullo) luogo comune che vuole gli errori compensarsi – magicamente – a fine stagione, le statistiche dicono ben altro.

Prima, durante e dopo

Il punto non sono gli errori arbitrali sul campo, perché anche negli altri sport i giudici di gara sbagliano, è comprensibile. Il problema è come viene affrontata la gestione arbitrale, se c’è un’effettiva volontà di spiegare tempestivamente le ragioni degli sbagli, di correggere le distorsioni e di farlo nel modo più trasparente ed efficace possibile. Ecco, questo nel calcio non è stato fatto. Anzi, a volte quando una soluzione funzionava è stata subito accantonata (sorteggio integrale). Perché? Perché gli errori sono ancora così numerosi e nettamente a favore delle solite note?

Cortesemente, non mettete in mezzo la questione dei piagnoni perché sarebbe un autogol clamoroso. Nel calcio esiste un prima (le designazioni), un durante (la gara), ed un dopo (nuove designazioni, giudice sportivo, ecc.). Il prima spesso ha dato vita a sospetti e illazioni, per ora lasciamoli da parte. Il durante a interpretazioni discordanti (e deliranti), come sopra. Il dopo avrebbe dovuto chiarire in modo inequivocabile dubbi ed errori, creare un sistema scevro da polemiche, condizionamenti e sospetti. Invece…

E il dopo che non ha funzionato, anzi ha peggiorato le cose, alimentando diffidenze ed esasperando gli animi. Troppa omertà, troppe differenze nella valutazione (a freddo) di casi uguali.

Gli esempi, purtroppo, sono molteplici. Basta chiudere gli occhi e scegliere a caso. È uscito fuori il caso Orsato. Perché dal 28 aprile 2018 Daniele Orsato, il miglior arbitro del mondo 2020, non ha più arbitrato l’Inter? Se non erro sono 113 giornate di campionato, non poche. In mezzo c’è stata anche una finale di Uefa Champions League! Che è successo, si è rotto il navigatore? Non gli hanno consegnato la divisa lavata e stirata? C’è stata un’invasione di cavallette? Lo sciopero dei taxi? Ha avuto mal di stomaco? Qualcuno, magari all’AIA, può aiutarci?

Dopo lo scudetto conquistato dai nerazzurri mi aspetto una pronta designazione. Andrà tutto bene, il dubbio amletico finirà nel calderone insieme a Gonella e alle tante storie bollate come chiacchiere da bar. Ma le chiacchiere da bar, per quanto insulse, almeno sono democratiche, qui vige il silenzio più assoluto (rotto dalle inchieste e intercettazioni che raccontano una storia totalmente diversa).

Non ti vedo, non ti sento (non ti uso)

Nel mondo attuale, dominato sempre più dalla tecnologia, dai mass media e dai social network, il silenzio prolungato della classe arbitrale appare realmente anacronistico. A chiarire i dubbi di tifosi e addetti ai lavori ci sarebbero le infinite moviole a cura del ex fischietto di turno. Francamente, non mi hanno mai interessato (lo scrivo con tutto il rispetto). Se c’è una persona che vorrei ascoltare dopo la gara è l’arbitro designato. È l’unico che può dirci realmente che cosa abbia visto e quale infrazione al regolamento ha fischiato. Tutto il resto è filosofia annacquata. L’ideale sarebbe il modello NFL, una comunicazione in diretta, ma è chiedere troppo. Mi accontenterei di una sobria conferenza stampa il giorno dopo la gara (giusto per non dover aspettare tre anni).

Si dice che gli arbitri sbaglino al pari di qualsiasi calciatore. È vero. Peccato che ci siano alcune differenze di fondo, non trascurabili. Un giocatore deve rapportarsi con il campo, il pallone, i compagni e gli avversari. Il tutto correndo. I suoi errori sono sotto gli occhi di tutti, non sono nascosti. Anzi, da subito diventano oggetto di analisi, discussioni ed interviste. Al contrario, gli arbitri non giocano, devono solo valutare le azioni e applicare il regolamento. In ultimo, non hanno avversari ma collaboratori (due più uno). Oggi hanno anche il supporto della tecnologia.

Altra nota dolente. Perché uno strumento di equità e trasparenza è diventato subito l’ennesimo elemento d’interpretazione? Anche in questo caso ho ascoltato le proposte più disparate: la chiamata, l’aiuto da casa, compro una vocale. La soluzione, invece, sarebbe semplice, logica ed imparziale: la Var dovrebbe interviene d’ufficio sempre ad ogni gol, fallo in area e cartellino rosso. In caso di discordanza, l’arbitro dovrebbe – d’ufficio – andare a controllare l’azione al monitor. L’ultima decisione spetterebbe al direttore di gara. Fine della storia, del chiaro ed evidente errore (che è tutto fuorché chiaro), della punizione per chi utilizza il var e dei dubbi su chi abbia preso la decisione finale. È così difficile scegliere questo percorso?

Un mondo migliore

Nel corso degli anni gli spalti degli stadi italiani ci hanno regalato insulti razziali (o se preferite territoriali), noi napoletani siamo da sempre in testa nella Hit Parade, striscioni vergognosi (quelli sulla tragedia di Superga sono una macchia indelebile) e scene di guerriglia (a volte terminate in modo tragico). Sovente gli addetti ai lavori erano troppo distratti per sentire o vedere.

Riguardo alle sentenze del giudice sportivo, mi avvalgo della facoltà di non rispondere. La situazione non è migliorata nemmeno durante quest’anno drammatico. Perché se gli stadi sono vuoti, i dirigenti (specie quelli di alcuni Top Club) continuano a dar spettacolo, fuori e dentro il terreno di gioco. Ma gli arbitri non vedono, non sanzionano (e non scrivono), i commentatori non sentono e il giudice sportivo era al bar.

Evidentemente questo Calcio piace a tutti, sono io che sbaglio. Più degli arbitri. Purtroppo non ho nemmeno il supporto della Var.