Per il Napoli la trasferta di Empoli rappresenta il punto più basso della stagione post scudetto. In realtà, la sconfitta sfuma al cospetto degli avvenimenti che hanno caratterizzato la gara del “Castellani”. Con una domanda che continua ad angustiare tifosi e addetti ai lavori. Vale a dire, se gli azzurri abbiano consapevolmente scelto di (non) fare il match, limitandosi a presenziare solo fisicamente all’evento agonistico. O abbiano dovuto adeguarsi al piano di Davide Nicola. Non riuscendo a trovare la forza mentale, prim’ancora che calcistica, per rientrare poi in partita.    

Piuttosto temibile l’inizio dei padroni di casa. Del resto hanno trovato subito il gol con una ripartenza confezionata da Gyasi e finalizzata da Cerri. Non casuale il vantaggio: nasce dalla capacità di ribaltare il campo in maniera fluida, sviluppando una rapida transizione. Nient’affatto trascurabile il macroscopico errore di Natan nel contendere il pallone al ghanese, schierato dal tecnico dei toscani più come vero e proprio esterno offensivo, che nel ruolo di “quinto” a tutta fascia.

EMPOLI, NAPOLI NELLA FOTO: GOL CERRI FOTO ALFATER

Col trascorrere del tempo, l’Empoli ha preso definitivamente il controllo territoriale, asfissiando la squadra partenopea con un efficace pressing aggressivo. Da una di queste situazioni gli uomini di Nicola hanno sfiorato addirittura il raddoppio. Il Napoli è stato incapace di gestire una verticalizzazione in campo aperto verso Niang, defilatosi sull’esterno. Østigård legge in colpevole ritardo l’inserimento dell’attaccante senegalese, che saltato facilmente il norvegese, punta poi la profondità. Nel contrasto con Juan Jesus, la palla finisce nei piedi di Cambiaghi, che fallisce clamorosamente il tap-in a due passi dalla porta.

Nel frattempo, i Campioni d’Italia (sic…) combinavano ben poco, e palesemente intimoriti dall’approccio coraggioso della controparte, si limitavano ad un improduttivo palleggio perimetrale. Sterile l’occupazione degli spazi in ampiezza con Kvaratskhelia e Politano, imbrigliati dalla gabbia predisposta per disinnescarne i movimenti a stringere.  

La combinazione sul centro-sinistra era assorbita da Bereszynski, che si ritrova ad associarsi in marcatura sul georgiano, con Grassi pronto a correre in aiuto internamente. Mentre Fazzini non fatica a tenere la progressione in avanti di un pigro Zielinski. Maggior gioco associativo sul versante opposto. Le continue rotazioni tra l’ex Sassuolo e Di Lorenzo, con Anguissa che cercava di occupare lo spazio alle spalle della mediana avversaria, hanno tentato di dare una picconata alla tenuta difensiva empolese.

Comunque gestita la tendenza del Napoli di inclinare la costruzione sulla destra, attraverso il grande sacrificio di Pezzella, che si alzava per tenere fuori dai giochi il capitano. Con Maleh che sporcava le linee di passaggio verso il camerunese. Bisogna riconoscere anche il merito dei movimenti sincronizzati di Luperto. Che a conti fatti s’è dovuto sdoppiare tra fare la copertura a Walukiewicz quando Osimhen si allargava. Oppure accoppiarsi a Politano.

A volte nel calcio va così: chi sulla carta dovrebbe dominare il gioco non alza il ritmo del palleggio, mantiene l’intensità nell’andare negli spazi a livelli da dopolavoro e l’avversario di turno non si lascia sopraffare, mortificando presunzione e pressappochismo. Altro che tirare spallate e “stecche” nelle caviglie: l’Empoli ha conquistato la vittoria cambiando radicalmente gli equilibri in campo, controllando il pallone e creando un numero maggiore di potenziali pericoli offensivi.

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