Una decina di giorni per riaprire il discorso campionato. Il Napoli ha davanti a sé un trittico fondamentale per capire se c’è ancora qualche residua speranza di conquistare qualcosa di diverso, che non sia semplicemente concludere con dignità la stagione: oggi il Cagliari alla Unipol Domus; mercoledì il recupero contro il Sassuolo. Infine, la Juventus a Fuorigrotta: il classico viaggio nell’ignoto, quando si affronta la Vecchia Signora. Impegni insidiosi, nient’affatto abbordabili, perché tutte hanno bisogno di punti, in ottica salvezza o scudetto. Nondimeno, Calzona è consapevole della grande opportunità che gli concede il calendario. Ovvero, continuare a inseguire un posto in Champions. Vediamo com’è andata…  

Meret: 6

A Napoli c’è ancora chi lo accusa di manifestare a intermittenza il suo talento potenziale. L’Airone preferisce non disperdere energie – fisiche e mentali -, ascoltando questi Soloni della critica, e piuttosto che sentirsi poco valorizzato, lascia vedere le sue qualità. Tipo il coraggio con cui stoppa disperatamente Luvumbo nel primo tempo. Oggi davvero impeccabile nelle uscite. Nonché attento sul tracciante dalla distanza di Deiola.   

Mazzocchi: 5,5

Sembra accettare la durezza del ruolo all’interno di una gara in cui Calzona sceglie Raspadori come esterno, sulla medesima corsia dove agiscono due frecce cagliaritane. Vale a dire Augello e Luvumbo. Un sacrificio necessario, quello del ragazzo di Barra, per il bene della squadra, che trae benefici quando il terzino azzurro difende come un centrale, chiudendo lo spazio all’angolano. In un duello di corsa e fisico difficile da arginare se non condotto al massimo della intensità. Riduttivo etichettarlo come il classico mastino, tutto istinto e poco altro. Nondimeno, gli fa un po’ difetto la qualità nelle rifiniture.  

(dal 84’ Ostigard: s.v.)

Come si fa a non provare un sentimento di forte empatia per lui, con quel fisico sostanzialmente nella norma, manco l’avesse preso in prestito da un impiegato delle Poste, che lascia l’illusione che forse potrebbe farcela chiunque. Eppure il norvegese si cala nello scenario di profonda sofferenza in cui s’è indirizzata la gara nei minuti finali. E garantisce il suo contributo.

Rrahmani: 6

Dopo la scorsa stagione, in cui ha fatto da spalla al centrale dominante, eterno scudiero di Kim, doveva trasformarsi della prima scelta difensiva. Sembrava che il destino gli avesse voltato la schiena, condannandolo a un’annata di sofferenza e insufficienze. Invece sta provando a ritornare un giocatore importante là dietro, letale nel controllo diretto di Lapadula, e prolifico nella marcatura preventiva. In occasione del gol annullato proprio al peruviano, la postura sbagliata del kosovaro nell’approccio alla palla dipende da un tocco malizioso, che lo induce all’autorete. Poi cassata dal Var.

Juan Jesus: 5

Sa marcare con tempismo un attaccante come Lapadula, abile nel muoversi senza palla. Bisogna quindi accompagnarne l’azione, – anche lateralmente -, assorbirne gli spostamenti, per evitare di farsi cogliere di sorpresa. Il centrale brasiliano deve sacrificarsi nelle letture. Quando poi il peruviano si avvicina all’area di rigore, lo “passa” al compagno di reparto. Si accoppia con Petagna quando il Bisontino subentra. E sono scintille e sportellate. Ma la pulizia negli interventi di BatJuan sposta gli equilibri a favore della retroguardia partenopea. Fino all’ultimo lancio dalle retrovie, quello della preghiera, su cui si addormenta come un tremebondo e distratto ragazzino della Primavera all’esordio coi “grandi”. Imperdonabile ingenuità; gravissima perché forse compromette il tentativo di rientrare nel discorso Coppe dei Campioni d’Italia.  

Olivera: 6

Ha dimostrato di essere un giocatore affidabile. Anche se inizialmente Jankto gli sfila pericolosamente alle spalle, sugli sviluppi di una colossale dormita collettiva a seguito di una rimessa laterale contestata. Terzino dal piede educato, dalla spiccata propensione offensiva, più funzionale nella risalita dal basso oppure a consolidare il possesso, che in situazione di difesa posizionale.

Anguissa: 6

Pur agendo formalmente dalla posizione di mezzala destra interpreta la gara mettendoci dentro tutte le sfumature del ruolo di centrocampista. La sua proverbiale fisicità, infatti, è vitale per una squadra che sta cercando di tornare ad alzare l’intensità. Riuscendoci solamente a tratti. Ripulisce il pallone nella risalita dal basso e poi supporta la fase offensiva. Partendo da dietro, occupa il corridoio centrale del campo, col suo atletismo, unito a una buonissima cura nei fondamentali, tentando di attaccare l’area di rigore.  

Lobotka: 6

La sua influenza nello sviluppo della manovra è direttamente proporzionale alla intelligenza tattica che mette in campo. Non mancano i momenti in cui emerge la sua vera natura di pivote, consapevole che non esiste palleggio, in nessuna parte del campo, senza smarcamenti e attacco alla profondità. La grande densità centrale ordita da Ranieri gli suggerisce di controllare il ritmo. E questo talvolta è andato a scapito della fluidità del gioco.

Zielinski: 5,5

Torna titolare dopo l’accantonamento causa beghe contrattuali. Si segnala soprattutto per il modo in cui, muovendosi stabilmente da mezzala offensiva, cerca di liberarsi dalle interferenze di Makoumbou, per rompere le linee. Mettendo in risalto alcune delle giocate con cui riempie solitamente le sue partite. In primis, i movimenti profondi in cui fa valere il passo in allungo palla al piede, e che lo rendono talvolta imprendibile. Quando ha dovuto ridurre gli inserimenti, trova ugualmente il modo di rendersi utile, consolidando il possesso a centrocampo.

(dal 79’ Cajuste: s.v.)

Dà il suo contributo nella baraonda creata ad arte dai padroni di casa nell’arrembaggio finale.

Raspadori: 6,5

La sua partita rappresenta il manifesto che definisce cosa Calzona pretenda da Jack in quel ruolo. Dovrebbe dilatare le distanze tra difesa e centrocampo rossoblù. Mera teoria; nulla di tutto questo s’è visto. Almeno con continuità. Appiattito su una posizione che non gli appartiene, torna indietro anche fino alla propria area di rigore, per cercare qualche pallone appetibile. Insomma, occupa idealmente lo slot di esterno, ma pensa alla stregua di una mezzala. Suo l’unico tiro (28’) verso la porta di Scuffet, scagliato dalla distanza, sui cui l’estremo difensore si allunga in tuffo. Reattivo nello scippare la palla a Augello e servire un assist millimetrico a Osimhen, per l’0-1.

(dal 79’ Lindstrom: s.v.)

Gamba, corsa, piede educato e voglia di recuperare il tempo perduto finora. Magari è giunto il momento di concedergli un minutaggio maggiore.

Osimhen: 6,5

Pronti via e Mina gli fa sentire subito la presenza, con una scorrettezza gratuita, a palla lontana. Il colombiano è ferocemente determinato a non fargli vedere il pallone, aggressivo ai limiti del regolamento. Ma il nigeriano ormai è diventato qualcosa di diverso rispetto a chi vuole essere pericoloso esclusivamente negli ultimi sedici metri. Ha dentro le stimmate di chi sa essere utile anche quando riceve con l’uomo dietro e copre il pallone. Peccato che i poi compagni non si alzino con gamba reattiva, supportandolo. Diventa fonte autonoma quando ha la possibilità di giocare fronte alla porta. Là si muove per individuare le zone più pericolose davanti l’area avversaria. E dopo aggredisce lo spazio con spensierata ferocia: con i tagli interno-esterno dovrebbe allungare la squadra. Peccato che isolandosi col difensore, nessuno in azzurro accorci, sostenendolo offensivamente. Al punto da lasciarlo inevitabilmente solo. Lo smarcamento fuori linea in occasione del gol è da far rivedere in ogni scuola calcio del paese.

(dal 84’ Simeone: s.v.)

Da centravanti vero, si crea in autonomia l’occasione per raddoppiare. Stoppato solamente dalla parata di Scuffet. Pure lui, però, con maggiore visione periferica, poteva dare a Lindstrrom l’assist per il raddoppio.

Kvaratskhelia: 5,5

L’approccio maggiormente proattivo alla gara di Calzona dovrebbe permettergli di esprimersi liberamente. In effetti, il georgiano spesso esce dal binario esterno. Viene dentro al campo, creando separazione da Nandez, consapevole di poter fare danni se associa coi compagni la innegabile sensibilità con il pallone. Piuttosto di isolarsi in situazioni di uno vs uno contro l’uruguagio, che lo francobolla come una cozza sullo scoglio. Compreso che il ritmo compassato dei compagni non produce spazi, prova a combinare con Osimhen, stimolandone (inutilmente…) il taglio alle spalle della linea difensiva. E se l’avversario toglie la profondità, stimola sull’altro lato Mazzocchi, ribaltando il fronte. Talvolta, però, si accontenta di “chiamare” la sovrapposizione di Olivera, servendolo poi sulla corsa. Peccato che un oscuro lavoro tattico ne abbia inibito la fantasia, privando il Napoli di sterzate e accelerazioni.

(dal 72’ Politano: s.v.)

Dopo il gol, il Cagliari alza decisamente il baricentro. Una situazione ideale per Politano, che senza palla, deve venire incontro, portando con sé Zappa. Così da liberare spazio alle spalle, favorendo il taglio di Anguissa. In ogni azione col pallone, invece, indipendentemente dall’altezza di campo, favorisce il controllo e sfrutta la propria tecnica per confondere la marcatura del terzino cagliaritano. Ha nei piedi l’opportunità per chiuderla, ma egoisticamente, tenta il colpo stile futsal. Se l’avesse messa lateralmente, arrivava a rimorchio Simeone. E adesso non staremmo parlando di ridimensionare ancora una volta gli obiettivi stagionali.

Allenatore Calzona: 6

Dopo l’esperienza di Mazzarri, finita mestamente, era necessario avere una guida tutt’altro che rassegnata al caos. Nello strenuo tentativo di non buttare letteralmente la stagione. In realtà, mettere in panchina chi ha lavorato a stretto contatto con due leggende azzurre equivale a ritrovare la vitalità dei momenti migliori vissuti con Sarri e Spalletti. Sia ben intenso, la scelta di Calzona non rappresenta il disperato tentativo di tornare ai “tempi belli di una volta”. Bensì, la precisa volontà tecnico-tattica di rimettere in sesto un ambiente vittima degli errori gestionali di ADL. Oggi quella frustrante sensazione di arrendevolezza ha lasciato spazio ad un identitario 4-3-3. Nulla di memorabile, sia ben inteso. Ma il Napoli è rimasto sé stesso. Anche quando ha sofferto, oppure lavorato sotto ritmo. Il pareggio è una iattura impossibile da pronosticare, frutto di un singolo approccio distratto, associato a mancanza di concentrazione collettiva. Insomma, l’ennesimo atto di masochismo all’interno di una stagione mediocre e maledetta.

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