È sempre delicato analizzare le dinamiche interne al Napoli, specialmente se appena un anno prima questa squadra ha letteralmente polverizzato la concorrenza, dominando chiunque abbia provato a frapporsi tra sé e lo scudetto. Complicato, dunque, tentare di capire cosa sia andato storto: nella “stanza dei bottoni”, nonché all’interno del gruppo.

Sicuramente ai problemi collettivi se ne sono aggiunti altri di carattere individuale; qualcosa non ha funzionato nei rapporti tra giocatori. Una situazione veramente disastrosa, troppo diversa dalla scorsa stagione, per non incidere sul quotidiano. Così da obbligare la proprietà a ben tre cambi in panchina, nella speranza di dare una scossa allo spogliatoio. Sembrano molteplici i motivi di decisioni tanto drastiche. Tra inadeguatezza nelle scelte di mercato, che forse hanno influenzato negativamente il lavoro di Garcia: né Natan – lento e incline all’errore -, tantomeno Lindstrom si sono rivelati acquisti azzeccati. Mentre Cajuste è ancora inaffidabili per spostare gli equilibri ad alti livelli. A peggiorare poi le cose, i troppi compromessi di natura tattica con cui Mazzarri ha dovuto fare i conti.

Insomma, nel raccontare la cronaca di un tracollo (quasi…) annunciato, non c’è componente che possa ritenersi avulsa dalle critiche. La miopia del presidente, che non s’è accorto della valanga in arrivo causata da una gestione personalistica e superficiale del post-vittoria. E se pure l’ha fatto, De Laurentiis non se ne è curata più di tanto di programmare. Magari rivedendo alcuni dei concetti cari alla sua filosofia aziendale, che l’avevano reso comunque un presidente innovatore. Capace cioè di cambiare paradigmi radicati nel tempo, e puntare su una solida sostenibilità economica della società.

L’era Garcia

Innegabile che il francese abbia dovuto affrontare un problema difficilmente risolvibile col materiale umano messogli a disposizione. La sostituzione di Kim rimane tra le cause (non l’unica, ovviamente…) che sono alla base della crisi attuale. Perché ha reso il Napoli assai farraginoso in fase di non possesso, preda di una notevole involuzione difensiva. Una fragilità strutturale talmente grave non poteva che riflettersi nell’approccio alle partite.

Con Garcia, infatti, i Campioni d’Italia non hanno mai tentato di recuperare in alto il pallone, preferendo abbassare notevolmente il baricentro, per fare grande densità nel mezzo. Trovandosi spesso in balia degli avversari, che con le loro conduzioni sciamavano negli spazi, tagliando letteralmente a fette le linee partenopee. Il rammarico maggiore, in questo scenario privo di coraggio, è stato proprio quello di dilatare oltremisura le distanze tra i reparti. Con la conseguenza pratica che fosse impossibile dar vita a immediate riaggressioni. Costringendo contestualmente gli azzurri a correre affannosamente all’indietro.

Ragion per cui si dava il meglio in transizione, sperperando però l’enorme bagaglio tecnico ed emotivo garantito da un possesso brillante e iperqualitativo. Niente dominio attraverso il palleggio, soluzioni sotto ritmo, mai degne di nota. Nemmeno nella sua versione migliore il Napoli di Garcia ha trovato continuità nel gioco, trascinandosi sul piano del rendimento, soffrendo di netti cali anche all’interno della medesima gara. Probabilmente il fatto che col trascorrere delle settimane vi fossero costanti peggioramenti era il segno più evidente di una crisi che lasciava intuire come il suo ciclo fosse già finito. Inoltre, difficile dire se cambiava davvero qualcosa se avesse avuto un atteggiamento meno radicale nel rapporto coi giocatori.

Il periodo Mazzarri

Che la squadra non disponesse delle risorse ideali per le richieste di Mazzarri è parso da subito evidente. Di certo, ereditare un organico nient’affatto coerente per il suo calcio ne ha ridotto sensibilmente i margini di manovra. Chiaro a tutti quanto fossero distanti le idee tattiche dalla natura dei giocatori in rosa. Il toscano è sceso quindi a patti con sé stesso, pur di rientrare nel giro che conta.

Tradizionalmente, il 3-5-2 è un sistema che esalta la verticalità e le transizioni. Ma la Coppa d’Africa non gli ha consentito di godere della famelica determinazione di Osimhen: classico “animale” da profondità quando si esprime in velocità a campo aperto. A quel punto ha dovuto dirottare sui triangoli e gli scambi sul breve, ideali per mettere al centro dello schieramento Raspadori. Indubbiamente un centravanti dal carattere associativo, che contribuisce alla manovra, riciclando un mucchio di palloni spalle alla porta. A fronte di tali peculiarità, Jack ha dimostrato di preferire il gioco interno alla giocata risolutiva. Risultando, alla lunga, involuto ed inefficace negli ultimi sedici metri. Rimane il dubbio su come la presenza del nigeriano poteva aiutare l’allenatore a proporre qualcosa di diverso.

La gestione Calzona

Nonostante simili premesse, Calzona sta disperatamente rimettendo in carreggiata il Napoli, che gravita a una distanza realisticamente eccessiva dal quarto (o quinto) posto, e deve pure smaltire l’ennesima delusione per l’eliminazione dalla Champions. Se c’era un momento giusto per affrontare il Barcellona era questo: si poteva provare a raddrizzare la stagione con una vittoria di prestigio. Peccato per quei venti minuti di black out, che hanno inevitabilmente condizionato il ritorno dei Quarti. Il commissario tecnico della Slovacchia pare aver accettato i limiti della squadra partenopea. Partendo da questo presupposto, prova a perfezionarne il rendimento col trascorrere delle giornate, veicolando nella testa dei suoi uomini una rinnovata fiducia.

Il miglior indicatore di tale stato d’animo è nel tentativo di riequilibrare le due fasi, aumentando nel frattempo l’intensità: maggiore solidità sottopalla e vocazione proattiva con l’attrezzo nei piedi. Le distanze restano corte, si esplorano le fasce per stimolare le catene esterne. E si assesta il baricentro con un blocco medio, pressando o “scappando” a seconda delle circostanze.

Tuttavia non è ancora tempo di pensare al futuro. C’è ancora una zona-Coppe da inseguire, qualunque essa dovesse essere. Nondimeno, per capire bene il nuovo progetto urge innanzitutto sapere come finirà il campionato attuale.

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