Forse aver pareggiato può essere considerato da Inter e Napoli una mezza conquista, piuttosto che due punti gettati alle ortiche. Detta così, potrà anche apparire un po’ paradossale, ma con una giornata in meno, il vantaggio in classifica della capolista sugli inseguitori rimane decisamente incoraggiante. Gli azzurri, dal canto loro, proseguono nell’opera di ricostruzione, emotiva e tecnico. Per questo motivo uscire con un punto da San Siro può essere soddisfacente, vista l’andamento generale del match. Una prima frazione di gioco sostanzialmente equilibrata, in cui i Campioni d’Italia hanno rischiato poco, concedendo troppo spazio ai nerazzurri per andare facilmente in transizione nell’azione del gol di Darmian. Seguita da una brillante reazione nel secondo tempo.
Bisogna aggiungere però che il corto circuito che ha generato la ripartenza degli uomini di Simone Inzaghi non è stato del tutto casuale. Bensì una sorta di riveduto e (non) corretto accaduto contro il Barcellona. Probabilmente l’idea di pressare in avanti, ovviamente senza estremizzare la situazione, preferendo il controllo dello spazio nella propria metà campo, mina la solidità della struttura posizionale in fase di non possesso immaginata da Calzona. Non a casa, appena la squadra partenopea ha deciso di alzarsi forte l’avversario, tentando di stressarne la prima costruzione, ha concesso la profondità: sia ai blaugrana, che ieri sera.
L’idea era concedere a Calhanoglu, che si abbassava sulla linea dei difensori, l’impostazione bassa della manovra. Senza aggredirlo subito. Al contrario, scegliendo la situazione (potenzialmente) ideale per metterlo in mezzo tra Raspadori e Lobotka.
Stimoli e reazioni
Le occasioni che hanno messo l’avversario libero di battere a rete, nonostante la difesa schierata, presentano troppe similitudini tra la gara di ritorno in Champions e la sfida con l’Inter, per non destare preoccupazione nell’ambiente napoletano. Sintomo di una pigrizia tattica nel rispettare le giuste distanze, nonché i tempi di uscita. Del resto, se è sufficiente un passaggio in verticale a tagliare letteralmente in due la squadra, incapace di “scappare” all’indietro, garantendo copertura alle zone di competenza, vuol dire che qualche sincronismo va tarato meglio. Trascurando l’aggravante che un po’ tutti i giocatori azzurri hanno dormito: non a caso, Lautaro ricicla sull’esterno una seconda palla, concedendo il tempo al Napoli di riposizionarsi, prima di ribaltare il campo per l’accorrente Bastoni.
De facto, una partita in controllo per gli azzurri. Finché lo svarione collettivo non ha regalato il vantaggio. Che comunque non ha inclinato il piano mentale verso l’Inter. Nonostante la capolista giocasse con la proverbiale sicurezza, sopra di un gol e mai messa seriamente in difficoltà dall’attacco partenopeo. Costretto per necessità a un eccesso di lavoro associativo, avendo un falso nueve in luogo del classico centravanti posizionale. Proprio la scelta di Raspadori e non Simeone ha orientato la strategia offensiva di Calzona, con le tipiche rotazioni che coinvolgono le catene laterali. Soprattutto a destra, dove Di Lorenzo e Politano si scambiano spesso di posizione. E una richiesta di maggiore mobilità a Kvaratskhelia, che hanno finito per sottrarre un pizzico di energia al georgiano.
Eppure, come in ogni big-match che si rispetti, all’atteggiamento di una squadra corrispondono poi delle conseguenze. Nel secondo tempo, infatti, i nerazzurri hanno avuto maggiori difficoltà ad assorbire il possesso prolungato e qualitativo del Napoli. In grado di spostare la palla più volte da un lato all’altro, nonché avanti e indietro. Fino a quando la compattezza del blocco difensivo predisposto da Inzaghi non si è progressivamente sfaldata. Al netto di una scarsa incisività negli ultimi sedici metri, ha posto rimedio Juan Jesus da palla inattiva.
Insomma, bene ma non benissimo, perché qualcosa ancora schricchiola nel Napoli attuale.
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