Calcisticamente parlando, Enrico Zazzaro è stato un gregario, che però, ad un certo punto, diventa parte integrante di una narrazione meravigliosa e affascinante. Intrecciando la sua vita con quella del fenomeno extragenerazionale per antonomasia, che attraversa le varie epoche, lasciandoci sopra una impronta indelebile: Diego Armando Maradona.

Da sempre al centro delle discussioni pedatorie, El Diez, ovviamente diverso dal classico stereotipo del Top Player. In grado come nessun altro, di fare in campo cose irripetibili. E perciò inarrivabile. Che incrocia il percorso con un portiere affidabile, “dodicesimo” nel suo primo Napoli.

Inizialmente dovevo andare in prestito al Catanzaro, in Serie B. Allodi mi disse che voleva vedermi giocare con continuità. Aveva già trovato l’accordo col direttore dei calabresi, Gianni Improta. Mi avrebbe affiancato un altro ex Napoli, Raffaele Ceriello. Invece poi andò Di Fusco, che non voleva fare la riserva…”.

Napoli 1985-86-ritiro

Ad un occhio poco attento o superficiale, i due sono profondamente differenti, sostanzialmente agli antipodi. Divo e comprimario, che si inseguono ciclicamente, alla stregua del giorno con la notte. Ergo, destinati a non incontrarsi mai. Ma questa cosa è vera solo in parte. Perché entrambi, a modo loro, sentono la responsabilità anche per ciò che succede fuori il terreno di gioco.

Diego era un personaggio particolare. Un decisionista, nel senso che era difficile fargli cambiare idea. Ma voglio smentire subito chi pensa che non si curasse. Era maniacale, aveva addirittura la palestra in casa. Altro che lavoro personalizzato che oggi va tanto di moda tra i calciatori”.

Nel raccontare il mito de El Más Grande, dunque, c’è posto pure per Enrico. E poco importa che le sue parole non siano riferite a vittorie mirabolanti o parate salvifiche. Ciò che conta veramente è il senso di un viaggio che vale la pena ricordare.

Maradona sfottitore

Il teatro in cui si esprime e circola la bellezza di questa storia non può che essere il Centro Paradiso. Lì nasce e si cementa l’affinità tra Zazzaro e Maradona. Una situazione che tratteggia come poche altre il lato umano di Diego, nonché la sua passione genuina per il Gioco (rigorosamente con la maiuscola…). A Soccavo, dove all’epoca si allena il Napoli, Enrico è un po’ defilato rispetto al centro di interesse, non particolarmente esposto sotto la luce dei riflettori, cannibalizzati invece da Diego.

In ogni caso, per motivi conosciuti solo agli Dei del pallone, si instaura il legame tra i due. Una particolare alchimia per cui, ogni sacrosanto giovedì, giorno deputato alla tradizionale doppia seduta – tattica al mattino, partitina nel pomeriggio – mentre alla fine di quelle memorabili sfide a ranghi contrapposti gli altri scappano sotto la doccia. E magari dopo passano in sede a rilassarsi, approfittando dell’arte culinaria di chef Maresca, Maradona e Zazzaro restano in campo. La mistica dei famigerati tiri in porta, scagliati da posizioni apparentemente improponibili. In pochi avevano realmente il coraggio di opporsi.

Si divertiva tantissimo. Spesso scommetteva con me o Carmando, diceva: ora colpisco quella parte del palo o della traversa. E non sbagliava mai. Calciava con una naturalezza…”

Durante le interminabili sessioni di conclusioni, da fermo oppure in movimento, con quel modo di fare che potrebbe sembrare quasi casuale (ma non lo è…), El Pibe provoca l’estremo difensore con traiettorie impossibili, stimolandolo a dare il meglio di sè, in una sfida tutto sommato impari. Sono i momenti in cui il RE non è un mostro, di più. E servono proprio a questo, lasciare che gli attori non protagonisti si facciano trasportare da quell’infantile entusiasmo, rispondendo a tono, alzando smisuratamente il livello prestativo.

Enrico_Zazzaro_Figurina_Panini_1985_86

Certe volte mi prendeva in giro, battezzando il lato in cui avrebbe tirato. Ma anche se partivo avvantaggiato, conoscendo anticipatamente dove avrebbe messo il pallone, perdevo comunque. Diciamo che su dieci, arrivavo a sfiorargliene quattro. Poi gli dicevo che aveva culo e lui scoppiava a ridere…”.  

Lo spirito di gruppo forse manca attualmente ai calciatori. Rispetto a Maradona, infatti, ben pochi possono permettersi di ottenere così tanto dai compagni di squadra. Ma la naturale capacità empatica che costantemente ha contraddistinto i rapporti di Diego all’interno dello spogliatoio oggigiorno è impraticabile da replicare.

Mi viene in mente un episodio emblematico di che tipo fosse. Alla seconda giornata andiamo a giocare a Pisa. Nel primo tempo ci mettono in grande difficoltà: segna Berggreen, ma a fare veramente la differenza sono Beppe Volpecina e Ciro Muro, in prestito proprio dal Napoli. Ebbene, Diego non fece altro che decantarne le lodi, pur se momentaneamente nella squadra avversaria”.

Le leggende azzurre

E’ indubbio che la carriera di Zazzaro sia stata fortemente influenzata da Luciano Castellini, che gli ha fatto da mentore. Enrico muove i primi passi in Prima Squadra l’ultimo anno da calciatore del Giaguaro. Un personaggio assai carismatico, spesso decisivo nel determinare le fortune del Napoli nelle sette stagioni in cui ne ha difeso la porta.

Unico per come si preparava, un professionista incredibile. Grosso esempio di cultura del lavoro. Baricentro basso, forza esplosiva negli arti inferiori. Il prototipo del portiere ideale in quegli anni…”.

Quindi, viene scelto per fare da riserva al successore di Castellini: Claudio Garella.

Claudio aveva appena vinto lo scudetto col Verona. Ricordo che arrivò in ritiro, a Madonna di Campiglio, una decina di giorni dopo, avendo avuto qualche giorno di ferie in più. Neanche a farlo apposta, quel pomeriggio si giocava la classica amichevole con la rappresentativa locale, tutti giocatori dilettanti. Tiri in porta praticamente zero, fino al novantesimo. Quando feci una bella parata di puro istinto. La sera stessa, a cena, mi fece i complimenti, dicendomi che mi considerava un compagno valido e affidabile…”.

Primavera_Napoli_1983-84_Viareggio

Del resto, Enrico maestri nei fondamentali ne ha avuti, nel settore giovanile. Due leggende della porta azzurra: Sentimenti IV e Bugatti. Lo svezzano fino alla Primavera, dove conquista le prime pagine dei giornali, durante il Torneo di Viareggio ’84, nominato miglior portiere della manifestazione assieme a Fabrizio Lorieri.

Gli “azzurrini” arrivano in finale, dove vengono letteralmente scippati da una doppia svista dell’arbitro Menicucci. Prima non si accorge che il tiro di Pescatori ha oltrepassato abbondantemente la linea di porta. Poi annulla l’eventuale pareggio al 90′ per un dubbio fuorigioco di Della Pietra. Vince il Torino ma nei match a eliminazione diretta, Quarti contro il Dukla Praga e Semifinali con la Roma, che si decidono ai rigori, Zazzaro è superlativo.

E pensare che sembrava non dovessimo neppure partecipare. Fu una intuizione di Dino Celentano, che si impose con la società. Una squadra composta interamente da ragazzi campani, arricchita da Pietro Maiellaro, in prestito dall’Avellino”.

Ritiro prematuro

Se cercate un esempio di chi sceglie l’impegno di spendersi per gli altri, dimostrando coraggiosamente come gli ideali possano davvero fare la differenza, mettetevi comodi. Perché ad un tratto in Zazzaro cambia la percezione delle cose. Perfettamente equipaggiato dal punto di vista emotivo, appena venticinquenne decide di appendere prematuramente gli scarpini al fatidico chiodo.

Napoli_1985-86-ritiro

Con la mia famiglia avevo investito in un Centro di riabilitazione, l’IFLHAN di Monteruscello, dove curiamo la disabilità, intellettiva o di relazione. Fantastico aiutare persone che ti danno un amore sincero, senza chiedere nulla in cambio…”.

La sua missione, che somiglia tanto a un miracolo, diventa poter fare qualcosa di diverso rispetto all’ordinario. E il calcio si trasforma nello strumento con cui è possibile realizzare l’integrazione.

Grazie allo Special Olympics, una organizzazione internazionale che offre a bambini e adulti con disabilità l’opportunità di allenarsi e gareggiare in varie specialità sportive, è divantato possibile sviluppare politiche di vera integrazione per i diversamente abili. Chiaramente, visti i miei trascorsi, utilizzo il calcio a 5 e a 11 come sistema terapeutico”.

Se non ci fosse stato di mezzo il Napoli e Maradona come elementi trainanti, probabilmente la storia di Zazzaro non l’avremmo mai approfondita. Talvolta il pallone serve anche a questo: portare in luoghi impervi della memoria e onorare talune scelte individuali. Senza tuttavia produrre nostalgia per un momento di vita passata.

Che non significa affatto essere una meteora. Perché se concentriamo l’attenzione sulla carriera di Enrico, scopriremo che ha dimostrato di avere la stoffa di leader tecnico ed emotivo nelle squadre in cui ha giocato dopo il Napoli.

Autentico trascinatore nella Salernitana, che contribuisce a portare alla salvezza nella stagione 1986/87, assieme ad altri due gioiellini del vivaio partenopeo: Ciro Ferrara e Massimiliano Favo

L’anno prima a Salerno avevano speso tanto e lottato per il vertice. Quindi volevano avviare un progetto nuovo, contenere i costi, facendo una squadra giovane. Con qualche innesto di esperienza, tipo Bartolomeo Di Michele, che aveva fatto un mucchio di gol con la Cavese. E Roberto Rizzo dal Lecce, per il centrocampo. Con risultati altalenanti, riuscimmo a ottenere comunque una salvezza tranquilla”.   

Claudio Ranieri, un signore

Il medesimo miracolo non si ripete l’anno dopo al CampaniaPuteolana. I granata non riescono a conquistare la salvezza (“Un’annata balorda. Partimmo bene, poi arrivarono mille difficoltà ed i problemi economici della società. Peccato, perché avevamo buoni giocatori di categoria. Poi a centrocampo c’era Mauro Picasso, che arrivò in A col Foggia di Zeman…”.

Ma Zazzaro fa un incontro significativo con un signore d’altri tempi: Claudio Ranieri. “Un uomo serio, oltre che un allenatore dalla forte personalità. Meticoloso nel lavoro, non lasciava assolutamente nulla al caso. Non ci pagavano da tempo e lui comunque continuava a spronarci. Pretendeva che facessimo gruppo. Anche dopo gli allenamenti, così ci riunivamo ai Damiani…”.

I risultati scarseggiano e Ranieri viene esonerato dopo 18 giornate. Gli interregni di Bean e Rambone non sollevano i puteolani dalla bassa classifica. A quattro giornate dalla fine viene richiamato il tecnico romano. “Non prendevamo soldi da tanto. In una di quelle ultime partite era previsto il nostro inserimento nella schedina del Totocalcio. E noi minacciamo di non giocare. Ebbene, Ranieri si fece garante nei nostri confronti, promettendoci che ci avrebbe aiutato con la Figc, per recuperare parte degli stipendi. Cosa che successe puntualmente. A Brindisi parai anche un rigore a Carruezzo…”.

La stagione successiva Ranieri e Zazzaro volano in Sardegna: Claudio al Cagliari ed Enrico alla Torres, che grazie anche allo straordinario talento cristallino di Gianfranco Zola (“La sua eccezionalità sta tutta nella persona che ho conosciuto quell’anno. Nonostante una carriera importantissima, è rimasto un uomo semplice e genuino…”), diventa la sorpresa del girone B. Manca la promozione per tre miseri punti. In cadetteria saliranno Cagliari e Foggia. Ma quello resta il risultato migliore della ultracentenaria storia rossoblù.

Ranieri voleva che lo seguissi al Cagliari. Mi aveva fatto una promessa: nonostante la presenza di Mario Ielpo, avrei avuto i miei spazi, in Coppa Italia di C, che poi vinsero. Casi della vita, ci incontrammo proprio in Coppa. Finì 0-0 ed io feci una gran partita, condita da un rigore parato a Coppola. Forse se non avessi avuto già il centro, sarebbe andata diversamente”.

Insomma, nonostante abbia vissuto esperienze pedatorie importanti, Zazzaro ha mantenuto una discreta presenza laterale dal centro della scena. Ecco che diventa giusto fornire una nuova luce ad una bella favola di vita, speranza e condivisione. Perché solo ad ascoltarne le parole si provano emozioni sorprendenti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

RESTA AGGIORNATO SUL NAPOLI: