Se l’Italia doveva puntare sul gioco, la miglior polizza assicurativa possibile per costruire la base del 3+1 fluido scelto da Spalletti per cercare di avere un certo equilibrio nelle due fasi, allora la Spagna ha mandato un messaggio forte alle velleità degli Azzurri. Il c.t. aveva confermato al cospetto degli iberici la formazione dell’esordio, con l’evidente l’intenzione di andare nella direzione “giochista”, operando una profonda rivoluzione culturale, per cambiare in tifosi e addetti ai lavori la percezione della Nazionale.
Il commissario tecnico, infatti, voleva ancora come punto di riferimento almeno un difensore “stiloso”, in grado di partecipare alla costruzione con la sicurezza tipica di chi sa sempre cosa fare del pallone. Un modello di retroguardia in cui avevano già palesato contro l’Albania di sapersi muovere a loro agio Calafiori e Bastoni. Ovvero, due centrali assai tecnici, che gestiscono la risalita dal basso con cognizione, portando la palla anche fino all’altezza del centrocampo. Se non addirittura oltre.
Peccato che poi il piano gara, cioè cosa si vuole effettivamente fare in campo, dipenda dalle opportunità in concreto concesse dalla controparte. Le Furie Rosse hanno svelato la pochezza strutturale e nelle letture dell’Italia. Affrontare un avversario decisamente superiore, vicino al suo picco quando si tratta di palleggiare con qualità e ritmo ipecinetico, con un sistema praticamente solo abbozzato, comporta un mucchio di adattamenti. Che alla lunga mette sotto stress chi deve subire il possesso per un periodo prolungato di tempo. Insomma, pensare di contendere alla squadra di De La Fuente il controllo del pallone è stato un atteggiamento fallimentare.
Timidi e poco reattivi
La Spagna ha passato la totalità dei 90’ nella nostra metà campo. Semplice la sua strategia: Rodri, Pedri e Fabián Ruiz costituiscono l’unità di base di un tiki-taka nient’affatto stucchevole. E parlano la medesima lingua calcistica. Grande sensibilità nei fondamentali, espressi a intensità massimale. Un terzetto dai piedi educatissimi, che non ci ha messo nulla a prendere le coordinate della mediana. Altro che specchiarsi in un giropalla fine a sé stesso. Hanno guadagnato subito importanti porzioni di campo con prepotenza, sfruttando pure Lamine Yamal e Nico William, letteralmente devastanti nell’affrontare un’Italia incapace di sviluppare un efficace pressing alto. Le conduzioni degli esterni sono state fondamentali per consolidare la Roja nello stabilizzarsi nella trequarti azzurra. Ponendo i presupposti per costringere Dimarco e Di Lorenzo a rimanere bloccati, per assorbirne la profondità. Così facendo, però, si aprivano dei vuoi incolmabili alle spalle del centrocampo italiano.
Determinando ripercussioni tattiche anche su Jorginho, reo di schiacciarsi troppo sulla propria linea difensiva. L’apporto del pivote è uno degli argomenti maggiormente dibattuti dall’opinione pubblica: ha caratteristiche ben precise, cui unisce tuttavia altrettanti limiti, specialmente in termini di dinamismo. Il fatto di non averla beccata praticamente mai, messo costantemente in ombra da Pedri, ha alimentato ulteriormente la discussione sulla sua intoccabilità. Spalletti lo considera un irrinunciabile. Forse perché il campionato non offre alternative valide nel ruolo. Ergo, nel bilancio tra ciò che garantisce e quello che sottrae nell’economia del gioco. La pressione spagnola ne ha messo a nudo l’approccio monodimensionale al match. Sostanzialmente, il metodista dell’Arsenal torna utile se riesce a posizionarsi in zona luce rispetto ai compagni in possesso. Nondimeno, se gli metti l’uomo addosso non ha il passo per smarcarsi, libero di ricevere e far progredire la manovra.
Italia “derubata” dell’idea
Se non fosse abbastanza semplicistica come analisi, si potrebbe affermare che la Spagna ha sottratto l’idea a Spalletti, fervido sostenitore di una teoria tutt’altro che rigida. Per cui, esprimere un calcio ambizioso, di dominio come quello che vorrebbe l’Uomo di Certaldo, passa attraverso andare a caccia degli spazi lasciati dall’avversario, piuttosto che incaponirsi a esplorare i vuoti tra le linee altrui.
Il problema è che per gli iberici a ricevere tra le linee c’erano “fenomeni” del calibro di Pedri e Fabián Ruiz,che dispongono di intelligenza sopraffina, associata a controllo orientato e grande tecnica in situazione. Per cui se c’è da scambiare nello stretto sono chiaramente a loro agio. Sottraendosi alla marcatura preventiva di chi era deputato ad accorciare celermente sottopalla, tipo Barella e Frattesi.
Sembra un luogo comune, eppure il comportamento mai passivo della squadra di De La Fuente in fase di non possesso si è rivelato determinante. In primis, per costringere col pressing intenso e organizzato l’Italia a correre affannosamente all’indietro. Poi per disinnescare la profondità, perché i reparti erano talmente stretti e corti, che bastava un nonnulla agli azzurri per finire potenzialmente in fuorigioco. Obbligando chi gestiva il pallone a lavorare continuamente sotto pressione, dovendo quindi riciclare il possesso invece di imbucare. Poiché è lo sbocco in verticale che dà un senso a tutta la circolazione.
In definitiva, la partita di Gelsenkirchen ha generato sussulti diametralmente opposti nelle contendenti. Gli Azzurri sono incappati in una sconfitta shock più per com’è maturata, che nel punteggio finale. Anche se la sensazione era che alla “Veltins-Arena” potesse davvero finire molto a zero per la Spagna. Che dal canto suo ha schiantato una delle candidate alla piazza d’onore del gruppo B in virtù di una gara condotta in modo quasi perfetto.
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