Nel calcio i più grandi lasciti vengono riservati a coloro che sono stati i pionieri del gioco in sé o anche di un ruolo specifico. Allenatori e giocatori sono ricordati nel modo più celebre e grandioso quando si tratta di innovatori in grado di cambiare definitivamente il calcio. La lista è lunga, una lista che vede nomi come Michels, Cruyff, Pelé e Beckenbauer. Questi innovatori conserveranno un po’ di magia eterna.

È forse strano, quindi, che Giacinto Facchetti venga spesso trascurato fuori dall’Italia, in quanto si parla dei più grandi e pionieristici giocatori non solo dell’epoca in cui ha giocato, ma di tutti i tempi. Un calciatore che era decenni avanti rispetto ai suoi tempi; un terzino che ha segnato 75 gol in oltre 600 partite in un’Inter che non giocava certo un calcio offensivo.

Alcuni, non ultimo il leggendario Helenio Herrera, parlano di Facchetti come il più grande capitano di sempre. E non a torto…

La magnifica storia di Facchetti inizia nella tranquilla cittadina di Treviglio, in provincia di Bergamo. I suoi ex insegnanti lo ricorderanno come uno studente modello, un ragazzo che si applicava in classe e che ambiva a diventare medico.

Facchetti ha iniziato la sua carriera giocando come centrocampista con una squadra locale, la CS Trevigliene. Il colosso di Treviglio eccelleva a scuola così come sul campo da gioco. Facchetti ebbe sin da subito una grande confidenza con il gol, segnando da tante posizioni con entrambi i piedi. I suoi miglioramenti furono frutto di un grandissimo lavoro in allenamento, fermo restando un talento e doti fisiche assolutamente fuori dal comune.

Helenio Herrera, che setacciava il territorio alla ricerca di talenti autoctoni da inserire nella sua dinastia nerazzurra in fase embrionale, osservò il giovane Facchetti a un torneo giovanile. Quell’imponente sbarbatello fu il suo più grande acquisto.

Herrera era intenzionato a fare di Facchetti un terzino forte in entrambe le fasi e rimase impressionato dalla velocità con cui l’ex della Trevigliese apprese i movimenti difensivi. Infatti, quella del terzino era probabilmente una delle posizioni più impegnative per giocare nel sistema del tecnico di Buenos Aires, con un enorme grado di concentrazione richiesto in ogni momento, per non parlare della capacità di scegliere in modo intelligente quando andare avanti e partecipare al contropiede.

Facchetti, non a caso per chi conosceva la sua capacità di applicarsi e di lavorare per perseguire i propri obiettivi, fu una rivelazione totale. Nella sua seconda partita – contro il Napoli nel 1961 – segnò e venne lodato dai media per la sua capacità di affrontare gli avversari, per fisico, ritmo e capacità di attacco. Era il terzino moderno completo, ma erano gli anni ’60 e la maggior parte dei difensori più forti al mondo si limitava a difendere. Non Facchetti, che si affermò rapidamente come il miglior terzino sinistro al mondo, guadagnandosi una reputazione come leader e allenatore in campo, anche quando aveva poco più di 20 anni.

Herrera gli diede un anno di rodaggio per farlo adattare al proprio gioco, ma 15 presenze al primo anno non furono poche. La scelta si rivelò valida e diede tempo a Facchetti di integrarsi in quella che presto sarebbe diventata la “Grande Inter”. Quell’Inter ottenne trionfi in Italia e in Europa, e il resto e storia. Al centro di tutto c’era Facchetti, una sorta di allenatore in campo.

Nel 1963, già il miglior terzino d’attacco del campionato, aiutò l’Inter a vincere il primo scudetto dopo nove anni, dimostrando di essere il catalizzatore di molti attacchi e segnando quattro gol in campionato. Ma il contributo più importante lo diede in fase difensiva: quell’Inter subì solo 20 gol in 34 partite di campionato. Tanti terzini offensivi hanno avuto Facchetti come modello, un modello dal quale hanno preso spunto per affinare le qualità difensive. Interessanti le dichiarazioni proferite alla Gazzetta dello Sport nel 1999: “Un difensore deve essere in grado di difendere. È importante aiutare in attacco e creare un vantaggio numerico, ma un difensore deve badare all’organizzazione prima di tutto. Chi non riesce a farlo, è semplicemente un’ala fuori posizione.

Facchetti fu fonte d’ispirazione per una generazione di difensori italiani, in particolare Paolo Maldini, che ha parlato a lungo dell’influenza del gigante di Treviglio sulla sua carriera. Il 4 settembre 2006 morì una leggenda, un uomo il cui talento è stato meravigliosamente integrato dalle sue qualità umane. Un calciatore pluridecorato, con contributo fattivo nei successi di Inter e nazionale.

Sandro Mazzola, grande amico e compagno di squadra di Facchetti per oltre un decennio all’Inter e nella nazionale italiana, ha riassunto al meglio il suo vecchio capitano: “Era il personaggio più importante con cui ho giocato, non solo in campo ma anche fuori dal campo”. Un’affermazione quanto meno azzeccata su un uomo che, per le innovazioni che ha portato a questo sport, merita il suo posto accanto a gente del calibro di Beckenbauer, Cruyff, Pelé e Maradona.

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