Nonostante l’Inghilterra attuale sia figlia della Premier League, ovvero il campionato per antonomasia all’avanguardia dal punto di vista tattico, grazie alle intuizioni di “fenomeni” della panchina tipo Guardiola, Arteta e Klopp, la nazionale dei “Tre Leoni” appare priva di idee brillanti. Accusato di indolenza strategica, allora Southgate stravolge la formazione e schiera i suoi con un inedito 3-4-2-1. Evidente l’intenzione di trovare una maniera per recapitare il pallone a Foden (che occupa l’insolita posizione nel corridoio intermedio di destra) e Bellingham, spostandoli vicino alla porta avversaria. Nella speranza che possano tirare fuori la giocata risolutiva.

A dire il vero, il fuoriclasse madrileno è dotato di qualità atletiche fuori dal comune, su cui innesta una tecnica sopraffina, capace di spostare gli equilibri. Deve solo smetterla di bighellonare per il campo, alla ricerca della posizione ideale in questa squadra priva di equilibrio. Per quanto riguarda l’incursore del Manchester City, i suoi piedi educatissimi e le letture a tratti visionarie hanno latitato. Ma se ritrova la luce, può risolvere d’incanto le lacune nella costruzione dei “Bianchi”. Non male come piano gara, deve avere pensato il commissario tecnico.  

In effetti, finora Southgate ha passato le gare aspettando l’errore altrui, nella speranza che a risolvere i problemi di manovra provvedessero poi le caratteristiche individuali degli interpreti dotati di maggior qualità. Un atteggiamento che ormai gli ha inimicato una fetta consistente dell’opinione pubblica. Perciò affida alla generazione forse più talentuosa di sempre dell’Inghilterra di provare a esprimere un calcio meno rudimentale. Confermando il diciannovenne Mainoo al fianco di Declan Rice in mediana.

Equilibrio e pochi spazi

Poiché agli inglesi manca uno specialista che faccia uscire il pallone da dietro con estrema pulizia e raziocinio, la soluzione cercata più spesso in prima battuta rimane sviluppare un gioco proattivo, attivando i laterali a tutta fascia. Ovvero, stimolando Trippier (molto alto e aperto) e Saka ad aggredire la profondità con il classico lavoro instancabile lungo la linea. Una soluzione troppo semplice da decodificare per un allenatore preparato come Yakin.

Dal canto suo la Svizzera, al netto del modulo iniziale sostanzialmente “a specchio”, cerca di valorizzare in pieno la variante che ha caratterizzato tatticamente questa rassegna continentale. Vale a dire, l’assoluta fluidità di un sistema facilmente orientato a trasformarsi nel classico 3-2-5 quando gestisce il pallone. Subito pronto a diventare un ermetico 5-4-1 in fase di non possesso.

Tanto le sfide a eliminazione diretta spesso si traducono in gare dal ritmo controllato, dove può bastare semplicemente un coup de théâtre per massimizzare il risultato. Uno scenario in cui i rossocrociati sono parsi assai organizzati, difensivamente parlando. Si muovono di reparto, cioè con il pallone come riferimento. Aggredendo poi in maniera decisa i riferimenti negli ultimi sedici metri.

Pochi i pericoli, entrambe le contendenti non concedono clamorose palle gol. Però la partita non è affatto noiosa. Tuttavia, se non elevi l’intensità, devi puntare sulle connessioni. E nel deserto delle opportunità, agli inglesi basta lavorare sulla catena di destra. Sfruttando la necessità degli elvetici di scivolare sul possesso insistito, adattandosi al movimento dei britannici, onde evitare di arrivare in ritardo a chiudere gli spazi. Perché Rodriguez non può uscire prepotentemente sulla trequarti, dovendo controllare la zona di competenza, dove staziona un ispiratissimo Foden. A quel punto, Saka ruota e si smarca in ampiezza. Offrendo una buona dimostrazione dei vantaggi di avere una risorsa che produce superiorità numerica col dribbling.

Da pavido a spregiudicato

Insomma, la Svizzera non ha concesso alcunché. Al contempo, faticava terribilmente a uscire dalla propria trequarti. Troppo schiacciata all’indietro, avendo Rieder ed Aebischer che scalavano all’indietro in copertura, per assorbire gli inserimenti di Bellingham o gli strappi in conduzione di Mainoo. Tutto molto bello e coreografico. Ma la partita si snoda sulla falsariga delle precedenti per l’Inghilterra. Gestisce il pallone per la maggior parte del tempo, senza trovare il varco necessario. Una iattura se hai un centravanti del calibro di Kane e gli fai prendere bellamente l’aria, servendolo praticamente mai. Finisce che paghi dazi al primo errore. E’ quello che succede quando Ndoye scappa sulla destra e mette dentro un rasoterra che Embolo deve solamente spingere il rete.  

Meno male che Saka trova subito il varco per pareggiare. Tuttavia, la proverbiale mancanza di coraggio palesata da Southgate si sublima nelle sue scelte talvolta davvero inspiegabili. Perché prima va sotto ritmo. Quindi, consapevole di avere materiale umano a disposizione di assoluto livello, azzarda come non ci fosse un domani, ridisegnando con i cambi una formazione spregiudicatamente iperoffensiva. Inserendo Eze e Palmer, spostando Foden a ridosso di Kane; arretrando il raggio di azione di Bellingham, per consolidare la mediana con la fisicità del madridista.    

Il caso, sotto forma di rigori, con la parata di Pickford su Akanji che rompe gli equilibri, ha creato i presupposti per ribaltare un racconto che sembrava già scritto. L’ennesimo fallimento sul filo di lana per la nazionale di Southgate. Che invece si carica di autostima e vola in semifinale.

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