Al giorno d’oggi è semplice attribuirsi un ‘titolo’, necessario per avere un ruolo all’interno della società.

Succede al termine di un percorso di studi universitari; ci definiamo ‘dottori’ senza mai aver lavorato realmente.

Succede nel mondo del giornalismo; ci definiamo ‘giornalisti’ quando in realtà questa professione è ben altra cosa.

E spesso succede anche nel mondo del calcio.

Definire un ragazzo ‘calciatore’ al giorno d’oggi è semplice. Basta giocare in campo, anche per qualche quadra sconosciuta, più volte a settimana, segnare qualche goal, e il gioco è fatto.

Ma nello sport, cosi come nella vita, ciò che conta davvero è la conoscenza che, per la maggior parte dei casi, proviene dall’esperienza.

Quando lo sport inizia dalla mente

Negli sport olimpici, ad esempio, ogni atleta porta con se anni e anni di sacrifici: sveglie programmate all’alba per iniziare gli allenamenti, anche quando i muscoli bruciano.

Anni di soddisfazioni per il raggiungimento di un’obbiettivo ma anche di cadute che fanno venir voglia di abbandonare tutto il lavoro svolto fino a quell’istante.

Anni di doveri e pochissimi piaceri.

Anni di divieti.

Tutto questo per cosa? Per competere in qualche gara che dura pochi secondi, senza avere contratti da cifre milionarie o un eco mediatico da star di Hollywood.

Si perché la motivazione è un qualcosa che cresce negli anni e non proviene dall’esterno ma dal profondo del cuore.

I “calciatori” questo lo dovrebbero sapere. Se non ci poniamo questo quesito non potremmo mai comprendere come sia possibile che il calcio degli anni 80/90 era così bello tanto da essere conosciuto dalle nuove generazioni.

Perché quei giocatori senza muscoli e miliardi giocavano 90 minuti ad occhi chiusi? Perché la maggior parte dei giocatori della vecchia generazione hanno tutti storie difficili alle spalle? Perché tanti giocatori old school hanno in comune la difficoltà di entrare nel mondo del calcio?

Perché un giocatore come Baggio, nonostante i mille gravi infortuni, in pochissimi mesi riuscì a riprendere la condizione fisica per partecipare ai mondiali?

Tutte queste domande hanno una risposta semplice: amore per questo sport e determinazione.

Due elementi che al giorni d’oggi è difficile trovare in un giocatore.

Tanto a cosa servirebbe? Se con il calcio va male, con il fisico statuario si può tranquillamente puntare alla carriera di modello, sponsor di quale casa di moda, influencer, chi più ne ha più ne metta.

I giocatori “calciatori” nel Napoli

Anche nel Napoli c’è questa concezione, anche se ci sono giocatori che scendono in campo solo per amore di questo sport.

Un esempio lampante è Piotr Zielinski. Un ragazzo silente, spesso all’ombra delle luci del Napoli, riconosciuto solo per i suoi errori e mai per le sue ottime azioni.

Zielinski è l’esempio di calciatore che gioca per amore del calcio, senza troppi lussi o sfarzi.

Infatti mentre i suoi colleghi hanno approfittato del periodo di stop per andare in vacanza, riposarsi e divertirsi con gli amici, Zielinski ha deciso di allenarsi.

Un allenamento in previsione di Dimaro, in quanto il suo obbiettivo è quello di tornare in campionato con più forza fisica e mentale al fine di essere competitivo, di potersi mettere in mostra agli occhi di Spalletti e agli occhi della sua Nazionale.