-di Dario Greco

Probabilmente uno dei principali limiti di questo Napoli è il portiere, che sembra poco sicuro e reattivo in alcune circostanze.

Bisogna ammettere che il Napoli ora sotto la guida di Walter Mazzarri, attualmente non dispone di un grandissimo portiere. Alex Meret, giocatore ormai prossimi ai 27 anni, con buona pace dei sostenitori non è ancora diventato un portiere top del nostro campionato. 

I dati purtroppo raramente mentono. 

Presenze totali con il Napoli in Serie A: 110, reti subite 113, che vanno a completare il quadro totale, con Spal e Udinese per arrivare a 153 presenze tra Serie A e B con 155 reti subite. I numeri complessivi per il Napoli, che comprendono anche le coppe nazionali ci dice 154 presenze 169 reti subite, per il totale in carriera di 201 presenze e 219 reti. In pratica la media è di una rete subita a partita. Bene, ma non benissimo. Lo scorso anno il buon Alex Meret ha effettuato alcune delle sue prestazioni migliori, con la guida di Luciano Spalletti che hanno portato al terzo scudetto della squadra azzurra, nonché primo tricolore della presidenza De Laurentiis. Meret lo scorso anno è tornato al centro del progetto, dopo che in passato era stato vicino alla cessione, soffrendo non poco l’alternanza con il più esperto collega David Ospina. Quest’ultimo portiere internazionale e titolare per lungo tempo con la sua Colombia, sebbene fosse un estremo tutt’altro che impeccabile, appariva più reattivo ed esplosivo del collega, sicuramente più abile con i piedi e tra i migliori per le uscite. 

La questione Meret ci porta però a fare una riflessione che parte da lontano. Addirittura ai tempi del compianto Claudio Garella, noto con il nickname di Garellik. Garella era nato a Torino il 16 maggio 1955 e prima di vincere il double nella stagione 1986-1987 con il Napoli di Maradona, aveva giocato con la Lazio, la Sampdoria e il Verona. Proprio nel periodo in cui difendeva i pali con la Lazio di era guadagnato il nomignolo di Paperella, nonostante questo dopo l’avventura romana divenne uno dei portieri più insoliti, ma efficaci del nostro campionato. Le sue uscite basse furono determinanti per la conquista del primo, unico scudetto del Verona di Osvaldo Bagnoli. Garellik, come verrà in seguito ribattezzato, era famoso per la tendenza a parare con ogni parte del corpo, tanto che l’avvocato Agnelli dirà di lui: “L’unico portiere capace di parare senza mani”. Dopo aver vinto lo scudetto durante la stagione 1984-1985 passò al Napoli di Ottavio Bianchi, che stava costruendo la squadra che avrebbe poi vinto il suo primo scudetto. Garella divenne quindi il portiere titolare e fu tra i protagonisti di quella squadra leggendaria. Lasciò però Napoli dopo la stagione 1987-1988, facendo parte del gruppo degli epurati assieme a Bruno Giordano e Salvatore Bagni e venne sostituito dal collega Giuliano Giuliani. Proprio come Garella, Giuliani veniva dal Verona, dove però arrivò l’anno dopo lo scudetto, avendo l’opportunità di disputare la Coppa dei Campioni. A Verona difese i pali per tre stagioni, finché non venne ceduto al Napoli dove resterà solo per due stagioni, entrambi molto positive. Il Napoli di Bianchi con Maradona capitano e leader tecnico, conquisterà infatti la sua prima Coppa Uefa durante la stagione 1988-1989 e nell’anno seguente il suo secondo scudetto. Giuliani era considerato un portiere di esperienza e di alto profilo, avendo appunto giocato in Serie A prima nel Como, poi in due squadre che avevano da poco conquistato il loro primo tricolore: Verona e Napoli, per l’appunto. Nemmeno Giuliani era però un portiere impeccabile ed esente da critiche. Molti ricorderanno i cinque gol subiti in Coppa Uefa contro il Werder Brema, motivo per cui Bigon lo metterà in panchina, preferendogli per due gare il collega Raffaele Di Fusco. Quando a Napoli arrivò Giovanni Galli, Giuliani verrà messo ai margini del progetto, lasciando proprio durante la stagione 1990-1991 la squadra azzurra per accasarsi con l’Udinese, che all’epoca militava in Serie B. Come scrive Wikipedia, “Giuliani si ritrovò catapultato dalla gioia dello scudetto ai campi della Serie B”

Veniamo ora ai tempi più recenti. Il Napoli di Sarri aveva tra i pali il veterano Pepe Reina. L’ex Liverpool e Villareal è considerato da molti esperti un portiere di grande personalità, abile con i piedi e in uscita, dotato di buona visione di gioco, divenne anche un ottimo para rigori, perfezionando progressivamente la propria tecnica. Detto questo alzi la mano chi a Napoli lo ha davvero rimpianto. Eppure era un nazionale spagnolo, con cui anche se non da titolare vincerà un Mondiale e due Europei tra il 2008 e il 2012. Con il Napoli lo ricordiamo per aver conquistato la Coppa Italia durante la stagione 2013-2014, nonché per aver fatto il record di punti durante il campionato di Serie A 2017-2018. Faceva parte di un gruppo, che nonostante non abbia vinto praticamente nulla, è entrato nel cuore dei tifosi e di tutti gli appassionati ed esperti di calcio. Tuttavia in quella formidabile squadra, che contava tra le fila campioni e giocatori di assoluto livello in ogni reparto, Reina non era certo il punto di forza del club. Ecco perché l’esempio, che forse non è propriamente calzante, ci riconduce alla questione Alex Meret. Il portiere friulano, che ormai è considerato un giocatore d’esperienza, non è mai diventato leader della squadra, ha mostrato poca sicurezza e personalità e perfino lo scorso anno con qualche intervento maldestro, ha rischiato di compromettere gare sulla carta semplici contro Cremonese e Bologna. Con la differenza che il Napoli di Spalletti ha saputo ribaltare e portare a casa quelle gare, mentre questo di transizione di Garcia-Mazzarri avrebbe bisogno di un reparto difensivo più attento e solido e di un portiere capace di restituire sicurezza a giocatori meno esperti come il brasiliano Natan. Così non sembra ed è un vero peccato, perché Meret, come Garella e Giuliani, fa parte della storia di questo club. Per questa stagione potrebbe restare lui il titolare, preferito a Gollini, oppure no. Di certo la sua permanenza a Napoli diventa giorno dopo giorno sempre più complicata e difficile, specialmente quando subisce una rete come quella del 3-2 al Bernabeu.