Il tifoso del Napoli ama alla follia i suoi calciatori, proprio come i tifosi di tutte le altre squadre. Ma noi non amiamo solo gli idoli, i campioni, i Totti, i Rivera, i Mazzola, gli Antognoni, i Bulgarelli o i Chinaglia. Noi, oltre a Maradona, Sivori, Altafini, Hamsik, Lavezzi, Cavani, Insigne e Mertens, ci siamo innamorati pure di calciatori modesti o quasi, ma che ci hanno regalato attimi di gioia, una scintilla, un graffiti rimasto tatuato nell’anima, coccolato per sempre nei nostri cuori. Si lo so, la lista è incompleta, manca qualcuno che di diritto avrebbe dovuto far parte della “lista della salute”, ma al cuore, appunto, non si comanda.
Campionato 1945/46, il Napoli sbanca Firenze con un gol del napoletano Egidio Di Costanzo, il giorno dopo, nella vetrina di un bar napoletano compare la scarpetta del giocatore con la seguente didascalia: “Chesta è ‘a scarpa ‘e Di Costanzo, ca senz’ombra di clemenza, ha ‘nguaiato l’esistenza, ai tifosi di Firenze”. La rima della quartina non è proprio baciata, ma non si può chiedere troppo alla fantasia e alla saggezza popolare. A questo punto la storia diventa leggenda. Sopravvivono diverse correnti di pensiero che vogliono la divina scarpa contemporaneamente in varie vetrine della città. La più accreditata la voleva nella vetrina del bar Pippone a Santa Brigida, altri, attribuendole il dono dell’ubiquità, la collocano nella vetrina del bar Fiore, nel quartiere Vasto, tra l’altro quartiere originario del calciatore che era amico personale di Don Ciccio, proprietario del bar e, secondo i “vastesi” anche autore della quartina. Entrambe le versioni potrebbero essere valide. Sull’argomento il tifo risulta equamente diviso.
Nel campionato 1970/71, il Napoli patì a Vicenza una delle sconfitte più umilianti della sua storia: 6-2 con protagonista il vicentino Giuseppe Damiani, per gli amici Oscar, detto pure Flipper, per il suo modo frenetico di muoversi in campo. Nel secondo tempo esordì un giovane lucano che l’anno prima si era messo in luce in serie D col Policoro, squadra che sembrava staccatissima e condannata alla retrocessione già alla fine del girone di andata, E invece Andrea Esposito alla fine risultò capocannoniere del girone con 18 reti che contribuirono a salvare la sua squadra dalla retrocessione. Andrea si ritrovò di colpo dai colleghi di squadra che erano suoi amici di scuola, lavoro o compaesani a gente che si chiamava Altafini, Canè e capitan Juliano. Il ragazzo non sembrò risentirne, tanto che la settimana successiva, al suo esordio dal primo minuto, mise a segno una doppietta contro la Roma. Ma il destino era in agguato e nella successiva trasferta contro il Torino, si infortunò gravemente. La sua carriera fini praticamente in quel momento, anche se poi prosegui tra alti (pochi) a bassi (molti).
Quello stesso anno un altro ragazzo, siciliano di Marsala, Gaspare Umile,proveniente sempre dalla serie D, ma dall’Angri, segnò un gol all’esordio a Verona ed un altro contro il Vicenza. Ma l’apoteosi fu contro la Lazio al San Paolo, un gol di destro a volo dal vertice dell’area di rigore, su passaggio dal cerchio di centrocampo di Ghio. Un gol che alla Domenica Sprtiva, il Paron Nereo Rocco definì “Un gol alla Gigi Riva”. E i napoletani cominciarono a sognare…
Campionato 1978/79, Valerio Majo, promettente regista del Palermo, fu prelevato dal Napoli con l’intento di dar man forte a capitan Juliano. In un mitico Milan-Napoli a San Siro segna il gol della vittoria con un colpo di testa ad incrociare sul palo. Era il Milan di Rivera quello che poi vinse il campionato e lo scudetto della stella. Di Majo si persero le tracce, ma quel gol resta scolpito a imperitura memoria nella nostra storia.
L’anno successivo il Napoli addirittura bissò l’impresa di San Siro, sempre col Milan. L’arbitro Bergamo, per sospendere la partita per scarsa visibilità dovuta alla nebbia sul risultato di 0-0, aspettò che cominciasse il secondo tempo. Qualcuno insinuò che era stata trascinata fino a quel momento proprio per impedire il rimborso dei biglietti. Qualche giornale titolò: “La grande truffa”. Ma queste polemiche fecero solo il solletico sig.Bergamo, che poi nel corso della sua carriera, anche da disegnatore arbitrale, avrebbe dovuto affrontare per altre polemiche e problemi. L’incontro fu ripetuto il mercoledì successivo, il Napoli vinse con un gol sempre di testa di Raimondo Marino, siciliano di Messina, che poi ebbe l’onore, dopo qualche anno, di essere il primo compagno di squadra conosciuto da Maradona a Napoli. Qualcuno raccontò che quando glielo presentarono, Diego, vedendo quello spilungone negli spogliatoi, salì in piedi sul lettino del massaggiatore e disse: “Così mi metto alla tua altezza”.
Erasmo Lucido, da Isola delle Femmine, all’esordio nel turno infrasettimanale di Coppa Italia aveva salvato il Napoli dall’eliminazione segnando un gol al Cagliari. Ma la domenica successiva fece ancora meglio contro la Roma. Era il Napoli pre-Krol contro la Roma pre-Falcao, ma già fortissima. Una cagliosa da fuori area su punizione, talmente potente che Carlo Ancelotti, in barriera, si scansò letteralmente per non rischiare di essere sgommato di sangue. La partita finì poi 3-0 con doppietta di quel Flipper Damiani accennato prima. Ferlaino aveva il pallino di portare a Napoli i giocatori che l’avevano in precedenza castigato. Capitò pure con Andrea Orlandini e Filippo Citterio, che con una doppietta al San Paolo ci eliminò col Palermo da una finale di Coppa Italia, che sembrava alla portata del Napoli, e che, ironia della sorte, si giocò proprio al San Paolo. I siciliani persero la coppa contro la juve. Ma noi tifammo lo stesso Palermo.
Correva l’anno del gol annullato a Turone, Francesco Palo, su “quel ramo del lago di Como che volge al desio”, all’ultimo respiro compì il capolavoro della sua vita: “Tiro! Palo! Rete!” Urlò Ameri a “Tutto il calcio”, e a Napoli impiegammo qualche secondo per renderci conto che il Napoli si era rimesso in corsa per lo scudetto dopo la delusione patita contro il Perugia con autorete di Moreno Ferrario al primo minuto e dopo ottantanove minuti, dove tutto finì alle spalle del portiere Malizia, fuorché il pallone. La settimana successiva la juve arrivò a Napoli e spense i sogni di scudetto con tal Verza, che, ironia del destino, di nome faceva Vinicio. Era entrato da un minuto e forse nessuno se ne era accorto. Per giunta di ruotolo, il Giovane Palo, che si era conquistato il posto dal primo minuto, si infortunò quasi subito: la sua carriera in serie A durò meno di un’ora.
Jaubert Ardujo Martins, vi dice niente? Vabbè sto parlando di Beto. Da solo, o quasi, ci porto in finale di Coppa Italia dopo aver eliminato una fortissima Inter di Zamorano, Zanetti e Diorkaef. Di contro Beto era talmente sconosciuto che il telecronista Pizzul lo chiamo Caio per l’intero incontro. Forse quelle due partite fecero in modo che il presidente Moratti si innamorasse di Mister Gigi Simoni, che, da quel gran signore che era, mise al corrente Ferlaino dell’interessamento dell’Inter nei suoi confronti. Licenziamento in tronco, e la squadra affidata a Montefusco che sedette in panchina nelle due finali. Al San Paolo il Napoli si impose per 1-0, e Beto restò in panchina senza essere impiegato. Nella partita di ritorno a Vicenza, il Napoli crollò 3-0 e Beto non risultò essere nemmeno in panchina. Circolano alcune leggende metropolitane sull’esclusione del giocatore brasiliano dalle due finali, ma il mistero resta tuttora irrisolto.
De Guzman sarà ricordato sempre per il gol della vittoria contro il Genoa a Marassi al 95°, mentre pochi si ricorderanno della tripletta rifilata in Europa League allo Young Boys. Per lo stesso motivo, i napoletani ameranno sempre Amadou Diawara per il gol all’ultimo respiro segnato contro il Chievo, dopo che il portiere Sorrentino aveva parato di tutto, rigore di Mertens compreso.
Per chiudere in bellezza la rassegna dei “RE per una notte” non si può non ricordare Rafael Cabras Barbosa, che in quel di Doha regalò una gioia indicibile ai tifosi azzurri. Ed a suo merito, va ascritto che quel rigore di Padoin fu tirato in modo quasi perfetto, là dove i portieri di solito non possono arrivare. Ma lui ci arrivò. E la seconda supercoppa Italiana finì nella bacheca del Napoli, dopo la prima dell’era Maradona nella quale si era distinto il quasi “re per una notte” Andrea Silenzi con una doppietta. Per la verità ce ne sarebbe stata un’altra di supercoppa italiana da potere e dovere esibire in bacheca, ma quella notte a Pechino, qualcun altro decise di farsi re. Di che cosa non lo lascio decidere a voi.
PASQUALE DI FENZO

Giornalista