Quello per il Napoli è un risveglio da un sonno profondo post coitum. Un sonno sì profondo da tirare il ronfo del maiale e sturare le narici da sempre chiuse alla vita.
La sera di Salisburgo ci restituisce un Napoli che sa soffrire e ripartire, che sa ripiegare e sacrificarsi. Contiene paziente le sfuriate di una squadra mai doma, che attaccava con 5 uomini oltre la linea della palla, vorticosa, travolgente, più atletica, giovane e fisica, la cui punta è una vera punta di diamante ma anche punta di fioretto e punta di Everest che fa impallidire il K2 restituendolo a difensore normale: Erling Haaland, 19 anni, figlio d’arte, poderoso artigliere, stoccatore, ma anche palleggiatore, bisonte, cavallo, biologicamente più simile al Signore della Notte di Game of Thrones, 6 gol in 3 partite di CL.
Una squadra fin tropo sottovalutata. Non è un caso che i 5 calciatori ad aver percorso più km fossero tutti austriaci. E Non è assolutamente un caso che il Salisburgo non perdesse in casa da 70 partite, di cui 19 in competizioni europee.
Quella di Salisburgo è una vittoria che ha il sapore della svolta. Una vittoria che ricompatta l’ambiente funestato da critiche insensate e nenie stridule di addetti ai lavori ed eccessi di debordante romanità del leader maximo.
La vittoria del Napoli è marchiata quanto mai a fuoco da Carlo Ancelotti, che aveva chiesto coraggio ed attributi. Che con il candore di un estintore, imbianca e doma da settimane, gli incendi destabilizzanti degli scugnizzi della comunicazione.
Con una difesa rabberciata è costretto a schierare Di Lorenzo a sinistra e Luperto in luogo di un acciaccato Manolas. Ma la partita la vince quando inverte Zielinski e Fabian. Con Piotr da metodista, supportato dal ritrovato Allan, e l’inserimento di Insigne ad agire da seconda punta in luogo di Lozano. il Napoli s’erge e morde. Soffre e difende ma colpisce implacabile e si attesta prima del girone, con soli due gol subiti in tre partite. Unico neo il messicano che più che extracomunitario sembra extraneo. Un corpo liquido errabondo che si sfalda ad ogni minimo contatto. Portargli via la palla è facile quanto una orchiectomia per un chirurgo (asportatio pallarum).
Della partita ho amato due cose:
– il traguardo tagliato da Mertens, coronamento di una carriera senza macchie e senza infortuni, fatta di 116 gol, assist, sorrisi e canzoni, integrazione e partecipazione in un tessuto sociale da sempre equivocato. Bellissima anche l’esultanza-ode dedicata all’antisex symbol Tommaso Starace.
– l’abbraccio accorato di 30 mondi diversi che convergono verso un unico obiettivo, dopo il gol vittoria di Insigne. Perché il calcio non è fatto da figurine. Spesso ci si dimentica che è fatto da uomini con ambizioni, emozioni, frustrazioni, conflitti interiori.
Che possa questa vittoria in terra d’Austria essere il propulsore per cancellare le divergenze, addolcire le insofferenze, issare vele e bandiere e vessilli del Corsiero Del Sole già domenica a Ferrara. La rincorsa alla scartellata canuta Signora, che infiniti falli e controfalli addusse agli ani altrui, è appena iniziata.
Avanti Napoli, calpestiamoli, facciamolo ancora!
Luigi D’Andrea

