Siamo arrivati ai titoli di coda. E poiché il calcio viene scandito dalle date, non soltanto dai tituli, nella mente dei napoletani il 15 maggio, anziché una normale giornata primaverile, rappresenta l’irrimediabile addio di Insigne alla sua gente.
Quindi, al termine della gara con il Genoa, una strana atmosfera di incompiutezza attanaglia Il Magnifico. E cala come una cappa su chi assiepa le tribune dell’impianto di Fuorigrotta. Come se il rumore assordante dello stadio volesse stemperare la tristezza diffusasi progressivamente nell’animo silenzioso di Lorenzo.
Che, a conti fatti, l’azzurro se l’era scelto per le ragioni del cuore, non per quelle della bacheca.
Scatta l’ala…
La storia di Lorenzo Insigne è quella di uno dei principali interpreti del Gioco (doverosamente con la maiuscola…), cui è mancato però lo spunto finale. Quello step, capace di trasformarlo poi in un vero fuoriclasse.
Sempre a un passo dal superare la fatidica soglia, che divide quei buonissimi giocatori in grado di caratterizzare una generazione, dalle vere icone calcistiche. Personaggi, cioè, che travalicano il loro tempo, diventando leggende della pedata.
Trattando l’attrezzo con impareggiabile leggerezza, il 24 in maglia azzurra avrebbe voluto essere protagonista oltre la mera attualità. Consapevole, al contempo, di non essere veramente tagliato per l’Olimpo. Insomma, una insanabile contraddizione.
Una finta e poi vola sul fondo…
Uno dei problemi generati dall’analizzare la carriera di Lorenzinho all’ombra del Vesuvio sta proprio nella percezione che gli addetti ai lavori hanno continuamente avuto nei suoi riguardi.
Considerandolo solamente a tratti un talento purissimo. Seppur indubbiamente fragile. Incapace, dunque, di incidere concretamente sulle sorti della squadra.
In fondo, non è vero. Ma in tanti, (davvero troppi…) ci hanno creduto. Pretendendo dal folletto di Frattamaggiore la soluzione magica ai problemi di un gruppo che ha vinto poco, rispetto alle aspettative della piazza.
Eppure il Capitano non ha mai dato l’impressione di volersi specchiare in sé stesso. Scevro da inutili narcisismi. Almeno in mezzo al campo.
Forse avrebbe potuto dare qualcosina in più. Nonostante chiuda il suo percorso professionale a Napoli con cifre monstre: 433 presenze e 122 gol. Scavalcando sul filo di lana Hamsik e diventando il secondo cannoniere azzurro all time, dietro l’irraggiungibile Mertens (149).
Inoltre, giocando a La Spezia, chiuderebbe a 434, quarto assoluto dopo Marekiaro, Bruscolotti e Juliano.
Trascurando i 54 “gettoni” accumulati con l’Italia, conditi da 10 reti e il titolo di Campione d’Europa.
Dimmi chi la fermerà!
Nondimeno, piuttosto che un vessillo da sventolare con orgoglio, per una parte consistente della tifoseria partenopea, Insigne è stato costantemente considerato tutt’altro che l’ancora di salvezza.
Disillusa dal sogno infranto dal (doppio…) Scudetto svanito. Il rimpianto più che altro, è uno solo. La stagione 2017-18, quella del record dei 91 punti. La possibilità di fare la Storia, al di là del tremendo disinganno generato da un “Sistema” colluso ed omertoso.
Anche se un barlume di speranza aveva contribuito a generarlo pure il “filosofo” Spalletti. Perlomeno, fino all’infausto trittico con Fiorentina, Roma ed Empoli.
Così, cala il sipario. L’ultimo atto d’amore di questa lunga domenica infarcita di lacrime. Come gli occhi velati di Lorenzo, al triplice fischio di Fabbri da Ravenna.
Fai buon viaggio Capitano
I Soloni della critica ad ogni costo, avvelenati dalla cattiveria e pieni di pregiudizi gratuiti, proveranno a raccontare che la scelta di terminare la carriera a Toronto l’ha ispirata la cupidigia.
Una giustificazione apparentemente plausibile. Del resto, ai milioni di dollari non si poteva certamente rinunciare, in ossequio all’aforisma pecunia non olet.
Ma siccome i sogni non finiscono mai, personalmente preferisco pensare che il “mio” capitano abbia declinato con garbo qualsiasi offerta. Accettando le sontuose sirene provenienti dalla MLS, semplicemente perché, per lui doveva esserci esclusivamente l’azzurro di Partenope.
Adesso che te lo sei tolto dalla pelle e salutato Napoli, puoi andare, Lorenzo. Porta in America il tiraggiro (‘o tir a gir’…). E insegna loro il significato irriverente di un sonoro Abem!
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