L’amore per il Napoli sullo sfondo della rinuncia al Chelsea
Gennaro Scarlato ha vissuto due carriere. Ben distinte l’una dall’altra. Seppur unite dal vincolo della continuità agonistica. Sullo sfondo, un unico amore, incondizionato. Quello per il Napoli. Che l’ha portato a fare scelte importanti. Supportate dal cuore. Piuttosto che valutate con distaccato pragmatismo. La prima volta, quando rinunciò al canto ammaliatore delle sirene britanniche. Destinazione Londra. Viaggio di andata e ritorno, con il Chelsea di Zola e Vialli a fare da tentatore. All’epoca, la storia fece scalpore. Tanto da suscitare l’interesse del Governo. Con il vicepresidente del Consiglio, Walter Veltroni, intenzionato a proporre una Legge volta a tutelare i vivai italiani dal saccheggio delle società straniere. E accomunò Scarlato a Gattuso, che prima di lui aveva tentato la carta del calcio britannico, passando dal Perugia ai Rangers di Glasgow. Con l’attuale allenatore del Milan, Scarlato, che al tempo dei fatti aveva soltanto vent’anni, c’era in comune non solo il nome di battesimo. Ma anche i procuratori, che ne gestivano le rispettive carriere: Stanislao Grimaldi e Michele Palmisano. “In un certo senso, io e Gattuso siamo stati dei precursori. I primi a tentare l’avventura all’estero. Quando è arrivata la proposta del Chelsea, ero già aggregato alla prima squadra. Ma il contratto da professionista tardava ad arrivare. Così, andai a Londra. L’amore per il Napoli, però, era fortissimo. E quando il direttore, Gigi Pavarese, mi fece una offerta per rimanere, tornai a casa. Era la scelta giusta da fare. Una scelta dettata dall’amore per la maglia azzurra”. La seconda volta, quando sposò il progetto della Napoli Soccer di De Laurentiis. Creatura calcistica neonata nel 2004 dalle ceneri del fallimento del “vecchio” Napoli. Scarlato diventa il capitano della nobile decaduta, nella difficile traversata sui campi della C1. Un percorso a tappe forzate, per ritrovare la luce, alla fine di un tunnel lungo una stagione durissima. Terminata malamente, con la sconfitta ai play-off promozione, nel derby con l’Avellino. “Quando mi chiamò il Napoli, non ci pensai più di tanto ad accettare. Nonostante facessero la C1. La mia fu una scelta di cuore, che non tenne assolutamente conto della categoria. E sicuramente, non fu dettata da motivi economici. Diciamo che i problemi nacquero dopo. Nel senso che Pierpaolo Marino, inizialmente, mi fece delle promesse, che poi non furono del tutto mantenute. Questa situazione, di riflesso, determinò qualche problemino pure con l’allenatore, Edy Reja”.
Da centrocampista a difensore centrale. Che salto all’indietro
Le due carriere di Gennaro Scarlato sono scandite da un preciso cambio di ruolo. Sin da ragazzino, la qualità nel palleggio e dei fondamentali, ne fanno uno dei più estrosi giocatori offensivi, nel settore giovanile del Napoli. Delle sue doti se ne accorgono in tanti. Ma è Vujadin Boskov a farlo esordire in serie A, a Verona, il 4 maggio 1997. Dopo che un brutto infortunio (la frattura della tibia, n.d.a.), lo aveva tenuto forzatamente ai box per tutta l’annata precedente. Uno dei momenti più belli della carriera di Scarlato è la vittoria della Coppa Italia Primavera, nella doppia finale contro l’Atalanta, anch’essa datata stagione 1996-97. L’allenatore degli “azzurrini”, Enzo Montefusco, gli cuce letteralmente addosso un sistema di gioco, in cui può creare ed esprimersi liberamente dalla trequarti in avanti. “All’epoca il settore giovanile del Napoli era assai competitivo. Non solo produceva tantissimi giocatori, che poi si affacciavano al professionismo, sia in prima squadra che in altre realtà. Ma vinceva anche tanto. Nello stesso momento in cui vincevamo la Coppa Italia, gli Allievi Nazionali conquistavano lo Scudetto ed i Giovanissimi Nazionali si fermavano soltanto in semifinale!!!”. Il talento di Scarlato non riesce ad esprimersi compiutamente al piano di sopra, nel momento in cui mette piede in pianta stabile nel calcio professionistico. Almeno fino a quando non decide di indietreggiare il suo raggio d’azione abituale. “L’allenatore che mi propose per la prima volta di spostarmi in difesa fu Giorgio Rumignani, a Ravenna. Inizialmente, la squadra faceva fatica ed io ero finito un po’ ai margini della formazione titolare. Tanto che, nelle partitine infrasettimanali, mi divertivo a giocare indietro. La società, in piena zona retrocessione, decise allora di esonerare l’allenatore (Sergio Santarini, n.d.a.) e Rumignani, appena arrivato, mi disse esplicitamente che sarei potuto diventare un buon difensore centrale. A quel punto, rilanciai. Risposi che avrei potuto provare. Ma lui avrebbe dovuto darmi spazio e farmi giocare”. Detto fatto. Da quel momento, Scarlato scende in campo praticamente sempre. E nonostante la stagione culmini con la retrocessione dei romagnoli in C1, ritrova la serie A. L’anno dopo, infatti, va all’Udinese. Dove incontra Giampiero Ventura, che lo trasforma definitivamente in centrale di difesa. “Se avessi scelto di giocare in difesa sin dall’inizio, la mia carriera avrebbe avuto uno sviluppo sicuramente diverso. Era anche un calcio diverso rispetto a quello attuale. Oggi si pretende dai difensori che partecipino attivamente alla costruzione della manovra dal basso, che abbiano buona tecnica e capacità di impostare. Oltre chiaramente, alla giusta scelta di tempo nelle chiusure e nei contrasti. Tutte caratteristiche che penso di avere sempre dimostrato di possedere…”.
Allo Stadium di Torino per vincere
Oggi Gennaro Scarlato fa l’allenatore (“Sono il tecnico della formazione Under 15 della Paganese. Una società che mi ha aiutato tanto sulla strada della crescita professionale. Pur essendo una squadra di Lega Pro, crede tantissimo nel vivaio. Non a caso, tutte e quattro le formazioni del nostro settore giovanile si sono qualificate per i play-off. Una sorta di isola felice. Perché, attualmente, nella costruzione del giovane calciatore, vedo meno qualità e più quantità rispetto ai tempi in cui ero giovane io”). E segue, nella doppia veste di tifoso e addetto ai lavori, la lotta per il titolo. “Il giudizio complessivo sulla stagione del Napoli non può che essere positivo, a prescindere dalla conquista dello scudetto. La Juventus, infatti, è sicuramente più attrezzata. Costruita per vincere. Oltre che per competere su diversi fronti. Ma se il campionato finora è stato bellissimo, il merito è tutto di queste due squadre”. Sul rallentamento avuto dal Napoli nell’ultimo mese, rispetto ai ritmi vertiginosi tenuti nel girone di andata dagli azzurri, non ne fa una questione fisica. “Piuttosto che un vero e proprio calo fisico del Napoli, parlerei invece di stanchezza, che nel momento decisivo della stagione, potrebbe avere creato qualche difficoltà. Specialmente in quei calciatori che hanno giocato sempre e non hanno mai tirato il fiato. Penso che se sei impegnato in tre competizioni, devi fare girare gli uomini che compongono la rosa. Almeno nelle partite che, sulla carta, potrebbero apparire più abbordabili. Ounas, Diawara e Rog, se impiegati, magari non tutti assieme, ma a tratti, inseriti in maniera graduale tra i titolari, certamente non sfigurerebbero”. A proposito di riserve. O presunte tali. “Ho visto molto bene Milik contro l’Udinese. Ha giocato di sponda e fatto reparto da solo, con la sua fisicità. Chiaramente, rispetto a Mertens, attacca meno la profondità. Ma in certe partite, specialmente contro difese forti fisicamente come quella dei friulani, può essere utilissimo”. A chi contesta al Napoli dell’ultimo periodo di aver subito la pressione mentale derivante dall’inseguimento alla capolista, oppone un fiero diniego. “La Juventus è abituata a spingere sempre al massimo, in tutte le competizioni cui partecipa. Del resto, è abituata a vincere. E quindi, a tenere mentalmente. Senza cali di concentrazione. Ed anche i giocatori che ha scelto sul mercato, sono stati presi tenendo presente la loro forza mentale, oltre che tecnico-tattica. Per quanto riguarda il Napoli, invece, ritengo che se la mente sarà libera da pensieri, le gambe degli azzurri andranno a mille. Fino alla fine…”. Nessun collasso psico-fisico, insomma. Altrimenti non si spiegherebbe la rimonta con l’Udinese. “Contro i friulani non è stata una partita facile. Venivano da 9 sconfitte consecutive. Sul piano motivazionale, volevano sicuramente invertire la tendenza negativa. Dimostrare di non essere un gruppo in difficoltà. E poi Oddo è un allenatore preparato, che pratica un calcio offensivo. Vuole che la sua squadra sia propositiva; abbia il pallino del gioco in mano. Anche contro il Napoli non hanno cambiato atteggiamento, esprimendosi come una squadra non abituata a lottare per la salvezza”. Testa, cuore e gambe allo scontro diretto, allora. “Alla vigilia del turno infrasettimanale, nessuno avrebbe immaginato che la Juventus perdesse punti a Crotone. Senza considerare come si era messa la partita per il Napoli, contro l’Udinese. Se gli azzurri, prima delle partite di mercoledì, dovevano solo affidarsi alla matematica. Oltre a sperare che i bianconeri facessero un passo falso, tale da rimettere tutto in gioco. Arrivato a questo punto della stagione, visto il divario che s’è venuto a creare e con lo scontro diretto in programma domani sera. Se il Napoli vuole davvero credere ancora nello scudetto, non dovrà mollare. Giocarsela fino in fondo e provare a vincere a Torino”.
Francesco Infranca
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