Le farneticanti dichiarazioni rilasciate da un gruppo di sedicenti tifosi della Sampdoria, nel comunicato a firma “Federclubs”, che ha fatto seguito alla polemica innescata dalla esultanza di Insigne, è solo l’ultimo atto di una situazione grottesca, nella quale il “provocatore”, piuttosto che mortificarsi per i cori indecenti e vergognosi, prova a giustificare il proprio comportamento villano. Paradossalmente, quello che indigna non è la mancanza di rispetto continua manifestata nelle ultime stagioni contro il Napoli. Un assalto costante che viene mosso contro la dignità di una città intera, oltre che alla sua tifoseria. Sicuramente non casuale, ma voluto. Preoccupa la sonnolenza – se non vogliamo qualificarla addirittura come strafottenza – con la quale hanno provato ad affrontare il problema gli organi istituzionali deputati a farlo. Anche se, visti i risultati davvero scadenti in tema di lotta al razzismo e discriminazione territoriale, sarebbe meglio stendere un velo pietoso sulle posizioni assunte a vario titolo dalle principali componenti del calcio italiano. Eppure la tendenza a promuove una ordinata e sportiva convivenza tra tutti i protagonisti dei nostri week-end calcistici dovrebbe essere una necessità comune per Lega Nazionale Professionisti (per inciso, l’organo che gestisce la Serie A) e FIGC, seppur con competenze e strumenti di intervento diversi. Invece la posizione dominante è letargica. Sostanzialmente i “governanti del pallone” preferiscono fermarsi alla esteriorità. Senza decidere di affrontare veramente il problema. A parole, tutti affermano che è indispensabile contrastare qualsiasi comportamento discriminatorio. Di fatto, però, è un interesse solamente formale ed esteriore, del tutto marginale e subalterno rispetto alla esigenza primaria: tutelare il business!!!
Andiamo con ordine. Oggi parliamo della Lega. Per Statuto, non solo promuove gli interessi delle società, ma garantisce loro “la distribuzione delle risorse finanziarie”. Ovvero, il conferimento a ciascuna delle 18 squadre di Serie A degli introiti derivanti dalla commercializzazione dei diritti televisivi – nazionali e internazionali – attraverso la partnership con “Infront Sports & Media”. Il sistema della ripartizione collettiva attraverso tre parametri (40% in parti uguali per ogni società, 30% in base al bacino d’utenza, 30% in base ai risultati sportivi) costituisce ormai da tempo la principale (qualche malpensante, direbbe l’unica…) fonte di finanziamento per i Presidenti. In soldoni, la sopravvivenza stessa del calcio d’elite è legata indissolubilmente ai ricavi ottenuti dai diritti televisivi. E’ assodato, quindi, che il mercato delle pay-tv contribuisce in maniera invasiva al mantenimento del Sistema-Calcio. Una struttura nel quale si è passati dai Grandi Mecenati degli anni ’80, capaci di spunti economici importanti per conseguire un obiettivo sportivo, ma troppo spesso inseguiti poi dal fallimento delle aziende personali e dalla necessità di passare la mano nella gestione della squadra, ad una figura diversa di Presidente: attento ai bilanci, amante delle plusvalenze. Dedito più alla speculazione imprenditoriale e meno interessato alle vittorie sul campo.
In un contesto in cui è indispensabile vendere il “prodotto calcio” ai potenziali investitori, emerge chiarissima non solo la necessità di garantire una parvenza di etica e sportività, che qualsiasi forma di discriminazione minerebbe alle fondamenta, allontanando verso altri mercati le risorse finanziarie. Ma soprattutto il nesso di interconnessione con le televisioni. Ecco spiegato pure il comportamento omissivo di conduttori e opinionisti, troppo spesso indaffarati a sminuire la volgarità e le offese becere vomitate sul Napoli ed i suoi tifosi, piuttosto che rimarcare l’inciviltà di un gruppo sempre più numeroso ed eterogeneo di tifosi in giro per gli stadi d’Italia.
Francesco Infranca
Giornalista