La scia dell’energia prodotta dal pareggio sulla Croazia ha incenerito quella deprimente rassegnazione in cui era finita l’Italia, dopo la lezione ricevuta dalla Spagna. La qualificazione agli ottavi difende e celebra le scelte di Luciano Spalletti. Ribadendo, al contempo, una verità assoluta, nel calcio come nella vita “reale”: sono le ambizioni su vasta scala che poi ti consentono di entrare nella Storia. E rimette al centro della geografia sentimentale del Paese una Nazionale finalmente restituita alla sua dimensione naturale. Ovvero, far parte del ristretto novero dell’élite europea. Del resto, la filosofia di una squadra forgiata nell’acciaio inossidabile del realismo spallettiano non può perdere il gusto mai sopito per la sfida con sé stessa.
Decisivo, per il passaggio del turno, le intuizioni del c.t., in grado di rimanere lucido, rimescolando sì le carte. Seguendo i binari della logica, visto le ripercussioni tattiche prodotte dal cambio di sistema. Consapevole che se non si cambia, non si cresce. I numeri, tuttavia, sono una questione che passa anche in secondo piano rispetto alle caratteristiche generali dell’undici iniziale. Specialmente, come queste si leghino alla strategia complessiva del commissario tecnico E poco importa che sia stato incapace di schiodarsi dal senso di riconoscenza, per esempio nei confronti di Di Lorenzo, confermato tra i titolarissimi nonostante abbia vissuto un personalissimo viaggio negli inferi nel tentare di disinnescare (inutilmente…) Nico Williams.
Niente fluidità, si torna al classico
Il 3-5-2 rappresenta la chiave con cui l’Italia si approccia alla Croazia, accantonando il modulo fluido ed il 3+2 in costruzione. A leggere la formazione si intuisce subito che Darmian giocherà assieme a Calafiori e Bastoni. Una linea a tre, a coprire le spalle al playmaker Jorginho. Supportata ai lati da Di Lorenzo e Dimarco, laterali a tutta fascia con grande sensibilità nel decodificare il contesto: bassi e stretti per difendere sostanzialmente a cinque. Oppure assai reattivi nel muoversi in avanti, per garantire l’ampiezza e collaborare nella progressione dell’azione con i centrocampisti. Del resto, Barella e Pellegrini sono pienamente a loro agio nell’occupare lo slot di mezzala classica. Abituati cioè a ricevere e poi strappare in conduzione, piuttosto che consolidare il possesso, gestendo il pallone per un periodo di tempo prolungato. A stressare la difesa di Dalic un’organizzazione offensiva abbastanza tradizionale. Una sottopunta che cuce il gioco (Raspadori), con Retegui a sbattersi su ogni pallone, nascondendo endemici limiti nei fondamentali. Per questo Jack si trova a suo agio nel destreggiarsi da “secondo violino”. Insomma, più che cercare la formula perfetta, Spalletti ha puntato sull’equilibrio.
Disperati ma non troppo
In maniera piuttosto banale, l’Italia ha deciso di disturbare l’impostazione della manovra croata, appaltata a un terzetto dai piedi educatissimi – Modric, Brozovic e Kovacic – però un po’ intollerante nel correre all’indietro. Una presunta superiorità tecnica, che non è stata sufficiente a sfuggire al pressing degli Azzurri. Funzionale a tentare la riaggressione immediata, con l’idea di schiacciare nella loro metà campo gli avversari. Comunque bravi nel non sbandare, rimanendo lucidi sotto pressione.
Non potendo sfruttare il vantaggio numerico interno, la Nazionale allora ha esplorato le fasce, creando densità su un lato, e immediatamente dopo ribaltando il fronte col cambio gioco, stimolando a turno Di Lorenzo e Dimarco. Non disdegnando nemmeno di appoggiarsi direttamente su Retegui, abile nel difendere il pallone e ripulirlo verso Raspadori. Che gli andava sotto per fornire un appoggio adeguato. Scenario (quasi…) perfetto. Peccato che siano mancati gli inserimenti delle mezzali. Non a caso, nell’intervallo, Pellegrini è rimasto negli spogliatoi, sostituito da Frattesi.
Quando sembrava che gli Azzurri fossero in controllo, in attesa solamente di esplodere senza preavviso, la doccia fredda dello svantaggio. Che inghiottisce testa e corpo. Sotto di un gol, Spalletti accantona la disciplina tattica e inserisce Chiesa, Scamacca, Zaccagni e Fagioli, aggrappandosi a un improbabile e disperato 3-2-5. Di Lorenzo insieme a Bastoni e Calafiori; Barella e Fagioli nient’affatto intimiditi a reggere la mediana, e un’arroganza pronta a esplodere, occupando le corsie centrali ed i mezzi spazi con tutta la batteria di offensive players disponibili. Tutto inutile, ormai l’Italia era finita nella palude, prima che a sette secondi dalla fine si materializzasse il “miracolo” di Zaccagni.
Donnarumma eroico
Dunque torniamo a Berlino grazie a un clamoroso pareggio e le parate prodigiose in serie di Donnarumma. Che fissano l’istante da cui ripartire per difendere il titolo di Campioni d’Europa. Il portiere del PSG è letteralmente eroico nel tenere in vita i suoi compagni. Già all’alba del match aveva levato dall’incrocio dei pali un tracciante assassino di Sucic. Poi strozza in gola l’urlo della rete, allungandosi sul rigore di Modric. Nulla può sul tap-in dello stesso madrileno, con la sfera che resta lì a due passi dalla linea, dopo l’ennesima respinta mostruosa di Gigio sulla capocciata di Budimir.
Magari ora proveremo a condividere un nuovo orizzonte di gloria, pur non disponendo della vocazione al capolavoro. Quella promessa di bellezza che ci aveva mostrato Spalletti l’anno dello scudetto col Napoli. Mantenendo un pensiero di calcio collettivo. Modello virtuoso che condensa il coraggio del gioco associato all’aggressività costante, miscelato con disprezzo di qualsivoglia logica speculativa.
Adesso siamo ufficialmente secondi, tocca alla fase a eliminazione diretta. Che ha le sue regole feroci. Cambia tutto, quindi bisogna necessariamente adattarsi, per restare in ogni caso sé stessi. E superare le proprie paure, preparandosi a Italia-Svizzera, in programma sabato 29. D’ora in poi non si può sbagliare alcunché. Urge arrangiarsi per colmare il gap con avversari (teoricamente…) più forti. Si gioca per sopravvivere, con le valigie nel pullman. Se vinci, le riporti in albergo. E prosegui come se non fosse successo nulla. Altrimenti, fili direttamente in aeroporto. Ma se sognare non è peccato, perché non farlo con la Nazionale di Spalletti.
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