Magari è giunto il momento di togliere a Luciano Spalletti quella scomoda etichetta che finora l’ha accompagnato nel corso della sua carriera. Una sorta di pregiudizio con la quale deve convivere, perennemente in bilico sulla strada della redenzione, per potersene finalmente liberare.
Al netto dei successi in Russia, allo Zenit, e qualche manciata di Coppe Italia con la Roma, il tecnico toscano è considerato il classico “perdente di successo”. Almeno da una parte di addetti ai lavori, particolarmente critici nei suoi riguardi.
Forse perché l’Uomo di Certaldo non è affatto avvezzo alla diplomazia. Il prezzo da pagare, dunque, per un personaggio a tratti scomodo, si concretizza nel giudizio sin tropo severo cui viene puntualmente sottoposto il suo lavoro.
Eppure quei silenzi tipici che ne caratterizzano l’interazione con i media, in conferenza stampa piuttosto che nei dopo partita, non sembrano artefatti per creare un’aurea di misticismo attorno al personaggio.
Così come appaiono reali le battute al vetriolo, utilizzate per rispondere piccato a talune domande provocatorie. L’ironia come arma tattica, quindi, ideale a far sbollire cattivi pensieri. Lunghi istanti di gelo con la controparte. E poi nuovamente sorridente e disponibile, come se nulla fosse.

Pregiudizi sul carattere
Per Spalletti perdente di successo è un tormentone che continua a riaffiorare con disarmante puntualità. Alla base di questo appellativo certamente poco gradevole, le stagioni capitoline. Una squadra fortissima, che aveva veramente tutto per vincere lo scudetto. Capace però di mancare proprio l’acuto finale, quello del Tricolore. Purtroppo, le esperienze professionali, seppur gratificanti, in giallorosso, sono finite nel dimenticatoio, cancellate dal rapporto conflittuale con Francesco Totti.
Il biennio interista ha ulteriormente contribuito a consolidare nell’italico pallone le malsane dicerie attorno alla figura del tecnico toscano. Comunque in grado di ottenere il minimo sindacale richiesto. Ovvero, la qualificazione in Champions League, pur se acciuffata per il rotto della cuffia all’ultimo respiro.
Nondimeno, invece di valutare asetticamente i due quarti posti consecutivi, in casa Inter tiene sempre banco il ricordo della polemica con Icardi. Fossilizzandosi un pò troppo sulla pruriginosa gestione della ingombrante moglie del centravanti argentino.
In questo scenario, sarebbe lecito chiedersi come mai una società ambiziosa come il Napoli lo scorso anno abbia scelto proprio Spalletti.

Scelta ponderata e vincente
Innanzitutto, perché vanta il maggior numero di piazzamenti in zona Champions. Tra gli allenatori che non hanno mai vinto il titolo, infatti, i numeri di Spalletti sono impressionanti. S’è qualificato alla Coppa dalle Grandi Orecchie nove volte: una con l’Udinese, cinque con la Roma, due con l’Inter, una ancora con il Napoli.
Magari De Laurentiis si sarà fatto ingolosire dalla vena aziendalista, che ha contraddistinto talune annate di Spalletti. Il produttore romano non avrà trascurato i meriti dell’allenatore, soluzione perfetta per chi non può spendere e spandere, come se non ci fosse un domani.
L’aver contribuito alla definitiva esplosione di un giocatore come Lobotka, impiegandolo stabilmente in regia, dopo che lo slovacco era finito ai margini delle rotazioni, manco fosse un oggetto misterioso. Oppure rigenerato, mettendolo al centro del progetto, Rahmani, maturato al punto tale da meritarsi il titolo di leader indiscusso della difesa. Senza dimenticare quanto fatto per sgrezzare i movimenti offensivi di Osimhen.
Insomma, ha plasmato emotivamente un gruppo che, al suo secondo anno all’ombra del Vesuvio, palesa sincronismi assai accattivanti. Una squadra esteticamente coinvolgente, nonché tremendamente efficace. Come può testimoniare, per esempio, l’aver banchettato sulle macerie del Liverpool.

Binomio Spalletti-Europa
Come dimostrato dalla sonora vittoria contro i Reds, il binomio Spalletti-Coppe diventa imprescindibile per avallare il nuovo progetto postulato dal presidente del Napoli.
Alla riduzione del monte ingaggi, associato al ringiovanimento della rosa, adesso deve corrispondere un ritorno sportivo. Un obiettivo non impossibile, come potrebbe ampiamente testimoniare Klopp.
Ajax e Rangers sono realtà consolidate nel panorama continentale. Eppure, la mission di passare la fase a gironi non pare campata in aria. Gli azzurri, storicamente mai andati oltre gli Ottavi di Champions, vogliono provare a ribaltare la consuetudine che li vede puntualmente eliminati appena giunti ai match da dentro o fuori.
L’idea rimane quella di attestarsi immediatamente dietro i Top Club (o presunti tali…) che – dal punto di vista politico-economico – spadroneggiano attualmente in Europa.
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