La Serie A ha già emesso un verdetto inappellabile: il Napoli, squadra copertina della passata stagione, ha fallito la temporada 2023/24. Al culmine di un processo autodistruttivo, il gruppo vincente, protagonista assoluto di un campionato letteralmente dominato per manifesta superiorità, s’è sbriciolato a causa di smottamenti dall’interno. Molti dei giocatori in organico attualmente sembrano dunque sul punto di passare definitivamente la mano. Avviati davvero a chiudere il loro ciclo all’ombra del Vesuvio, impantanati nel bel mezzo di un cambio generazionale.

Nessuno ovviamente poteva immaginare il declino degli azzurri in un lasso di tempo così breve. Impensabile infatti passare dal contendere la qualificazione alla semifinale di Champions al Milan, a rincorrere l’ultimo treno utile per un posto in Conference League: unico obiettivo capace di salvare un’annata altrimenti veramente imbarazzante.    

Basta scommesse rischiose

La netta presa di posizione dei tifosi, che ormai da settimane esprimono il loro dissenso nei confronti dei giocatori, nonché sull’operato di De Laurentiis, dovrebbe indurre a una profonda riflessione, mettendo la società davanti un bivio. Ovvero, scegliere se ricostruire subito una squadra in grado di competere per l’alta classifica, oppure accontentarsi di un progetto a medio termine. La politica gestionale orientata alla sostenibilità economica, il cui caposaldo non può derogare dal contenimento dei costi, associati al taglio degli ingaggi, suggerirebbe allora di assumere un allenatore aziendalista, dall’indole cioè decisamente coerente con la filosofia perseguita finora dal presidente partenopeo.

Un rischio altissimo, magari anche calcolato (male…) nell’anno post scudetto, caratterizzato da numerose scommesse perse. In primis, ben due sessioni di mercato cannate clamorosamente. Oltre al peccato originale, vale a dire la scelta dell’erede di Spalletti. Ma la confusione generata in questi mesi da decisioni prese un po’ troppo frettolosamente, assunte sulla spinta emotiva piuttosto che ponderate con lungimiranza, lasciano intendere che il club continua ad essere in balia degli umori altalenanti del suo proprietario.

Aziendalista o “uomo forte”

Venuta meno la conditio sine qua non della “Coppa dalle Grandi Orecchie”, necessaria per autofinanziarsi, adesso il Napoli è obbligato innanzitutto a mettere in chiaro quali siano effettivamente i margini di manovra relativi al nuovo tecnico. Assodato che pur essendo in possesso di un discreto utile di bilancio, ADL non getterà mai i quattrini dalla finestra, il nome del prossimo titolare della panchina azzurra indicherà senza dubbio la strategia futura. Al momento, però, alquanto nebulosa.   

Al netto dei nomi che circolano con insistenza dalle parti di Castelvolturno, si va dall’ipotesi del classico aziendalista, tipo Stefano Pioli, sintonizzato sulla medesima lunghezza d’onda del presidente, al condottiero dalla forte personalità. Abile nel rilanciare immediatamente la squadra, nonché a incanalare nei giusti binari l’egocentrismo del produttore romano.

Appare evidente che non si tratta di un dettaglio trascurabile. Perché i risultati deludenti hanno prodotto un inevitabile depauperamento della rosa. E il solo Osimhen da mettere eventualmente all’asta per monetizzarne la cessione potrebbe non bastare a convincere personaggi del calibro di Antonio Conte o Gasperini della bontà del programma di rinnovamento immaginato da De Laurentiis.

Insomma, in attesa di un colpo di scena, le prospettive sono tutt’altro che rosee. Staremo a vedere. Nella speranza che la faida che scoppiò con Spalletti su una “questione di principio” non si ripeta pure questa estate. Arricchendo quotidianamente la lista dei possibili candidati cui affidare la ricostruzione, dopo una stagione da dimenticare.

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