Nel Napoli che torna a sorridere dopo essersi ripreso il primo posto in classifica c’è una faccia triste, quella di Giacomo Raspadori. Ormai finito ai margini del progetto tecnico di Conte. Confinato a un malinconico ruolo da cambio di lusso, e talvolta neanche quello.

Quando nell’estate del 2022 è sbarcato all’ombra del Vesuvio, dopo gli esordi con la maglia del Sassuolo e un’ascesa talmente rapida, da consentirgli di vincere l’Europeo con l’Italia, seppur da comprimario, le aspettative erano ben diverse. I pregi palesati sotto le gestioni di De Zerbi e Dionisi erano noti: rapidità nello stretto, primo tocco mortifero e fondamentali sopraffini nell’uno contro uno. Oggi invece un po’ tutti si domandano se Jack non sia più nel suo prime. Ovvero, se in qualche modo, nonostante i soli ventiquattro anni, abbia già raggiunto l’apice del suo potenziale.

Perciò, riflettendo anche sui costi sicuramente non contenuti sostenuti dal club partenopeo per convincere il Sassuolo ad accettare l’offerta – prestito oneroso a 5 milioni di euro e obbligo di riscatto a 25 milioni -, si potrebbe addirittura parlare di affare a perdere.

Duttilità e depotenziamento

Al netto di uno scudetto conquistato da protagonista con Spalletti, sia nella stagione fallimentare con il tricolore cucito sul petto ed i tre “fenomeni” in panchina, che adesso agli ordini dell’Uomo del Salento, Raspadori è andato a sprazzi. Appunto, solamente lampi di giocate dominanti, tali da veicolarne l’immagine intristito di incompreso, piuttosto che quella di leader prepotente e trascinatore, spendibile da indiscusso titolare. Poiché non gira anche quando la squadra lavora e si esprime perfettamente, viene da chiedersi se le sue doti funzionali a cucire il gioco non abbiano finito per trasformarlo. Perché, oltre a muoversi efficacemente sulla trequarti, si è ritrovato anche a fare da esterno.

Insomma, con Raspadori, più che con chiunque altro, non si parla a vanvera di duttilità. Peccato che questa caratteristica ne depotenzioni gli aspetti da punta pura. A causa di una cronica incapacità nella finalizzazione, diventa pertinente nel suo caso parlare di involuzione. Allora, sembra davvero un’anima in pena, che aspetta passivamente la fine del lungo incubo, fatto di prestazioni scadenti e minutaggio risicato. Intrappolato in una fase di agonico stallo della sua carriera, che forse solo il mercato potrebbe sbloccare. L’impressione che le parti cercheranno una soluzione già a gennaio per liberarne il talento da una situazione insostenibile non appare dunque campata in aria. Impresa nient’affatto semplice, considerando pure il contratto quinquennale da 2.5 milioni annui. 

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