Il Torino è una delle squadre che ha sorpreso maggiormente la critica in questi primi mesi di campionato. Lo dicono non tanto i risultati, che sono sostanzialmente in linea con le aspettative, quanto l’identità di gioco chiara e riconoscibile che Paolo Vanoli è riuscito a trasmettere ai suoi. Eppure l’inizio di stagione non era stato affatto semplice. Come al solito, in estate Cairo aveva fatto scelte assai rischiose. Prima sacrifica Buongiorno sull’altare di una proficua plusvalenza. Quindi, negli ultimi giorni di mercato, cede alle lusinghe dell’Atalanta per Bellanova. A peggiorare le cose, il terribile infortunio in cui è incappato Zapata dopo appena sette giornate: sulle sue larghissime spalle si stava appoggiando il nuovo corso. E invece il ginocchio del colombiano ha ceduto di schianto contro l’Inter, obbligando Vanoli a rivedere in corso d’opera il tema della finalizzazione in attacco.

Vanoli s’è preso una bella gatta da pelare, perché con Jurić in panchina il Toro aveva consolidato la posizione nella middle class della Serie A. Per vincere l’ennesima scommessa, il presidente granata ha puntato sulla continuità. A facilitare la transizione dall’allenatore croato all’ex Venezia, il medesimo modulo (3-5-2). Sulla carta, stessa filosofia tattica, ma diversa interpretazione: attualmente, infatti, la squadra applica un calcio più coraggioso, dall’indole decisamente propositiva, piuttosto che speculare. In pratica, dalle parti del Filadelfia hanno dovuto quasi imparare a camminare, seguendo i principi di Vanoli.

Le virtù del possesso granata

In fase di possesso, la struttura posizionale del Torino sviluppa con grande efficacia situazioni codificate. Siamo in presenza di una proposta di gioco in grado di esaltare la pazienza nel giropalla, propedeutica a liberare spazi sull’esterno, con i due quinti larghi a fissare l’ampiezza: Pedersen e Lazaro si prendono la responsabilità di spingere ed al contempo presidiare le fasce. La creatività è affidata a Nikola Vlasic, mentre una delle note più liete rimane Samuele Ricci: la vera sorpresa di quest’anno. Con l’arrivo di Vanoli ha cambiato modo di gestire la regia, che ora basa su una costruzione più ragionata e riflessiva. Fondamentale poi per garantire sostanza alla mediana, offrendo soluzioni con e senza palla, il dinamismo di Gineitis.

In attacco dipenderà tutto da Sanabria e Ché Adams. La classica seconda punta mobile, che si connette bene assieme a un centravanti d’area come il paraguaiano: padre originario di Antigua e Barbuda, madre scozzese (nazionale con cui ha partecipato agli Europei del 2024), si sta rivelando un acquisto azzeccato. Pur se ammantato da un certo esotismo, il suo impatto è stato immediato, sopperendo egregiamente all’assenza di Zapata. Finora aveva segnato soltanto in Inghilterra. Dopo anni di Premier League in chiaroscuro, con le 18 reti al Southampton, nell’ultima stagione in Championship, ha dato una svolta alla propria carriera.

L’idea è quella di utilizzare la densità centrale generata naturalmente dal rombo di centrocampo. Per consentire a una delle mezzali di alzarsi e occupare i corridoi intermedi, inserendosi sulla trequarti fronte alla porta. In alternativa, favorire la ricezione di una punta, che accorcia per smarcarsi tra le linee. Ovviamente, l’altro attaccante “fissa” i difensori, aggredendo immediatamente la profondità, così da stimolare la verticalizzazione.   

Un Torino attento senza palla

La partenza di capitan Buongiorno sembrava dovesse mettere in crisi la retroguardia. A prenderne nominalmente il posto l’acquisto più oneroso dell’estate granata: Saul Coco dal Las Palmas, supportato da Walukiewicz a destra e Masina a sinistra. Vanoli ha optato per una scelta meno radicale. Si marca a uomo, mettendo sempre pressione, coi tre centrali che spesso rompono in avanti l’allineamento per non concedere facili ricezioni. Ma orientandosi sul concetto di trasformare la linea tre in una ermetica difesa a cinque. Pretendendo che si spendano nella fase di non possesso pure i centrocampisti. Con l’aiuto fattivo degli attaccanti, deputati a portare la prima pressione. 

Il cambiamento lo si è visto anche da come viene utilizzato Milinkovic-Savic: il Torino di Jurić era una squadra diretta, che cercava di arrivare celermente dall’altra parte del campo. Uno scenario che faceva notevole affidamento sulle qualità balistiche del portiere. Potenziale catapulta per attaccare la profondità, in virtù delle sue capacità nel gioco lungo. Calciando forte e teso, con estrema precisione, senza passare necessariamente per la costruzione dal basso. Oggi il serbo appare decisamente più coinvolto nella gestione del pallone grazie alle sue doti nel palleggio.

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