La sfida tra il Portogallo ed i vice-Campioni del Mondo della Francia, sin qui imbattuti, nonostante siano ancora alla ricerca del primo gol su azione, presenta alcuni temi veramente interessanti da approfondire. La maschera protettiva di Kylian Mbappé sta diventando un impedimento secondario. Così come la sterilità offensiva. Altro che visione periferica limitata, o la miseria dei tre gol in quattro partite, con due autogol e un rigore. Les Bleus sembrano più impegnati a fare politica, contrastando attivamente l’estrema destra di Marine Le Pen, che concentrati sull’appuntamento del “Volksparkstadion” di Amburgo. Un match tutto sommato storico, perché potrebbe certificare il passaggio di consegne tra KM10 e Cristiano Ronaldo. Entrambi finora abbastanza deludenti. Tutt’altro che all’altezza di una fama planetaria il loro rendimento.

L’immagine di CR7 in lacrime dopo che Oblak vola a respingergli il tiro dal dischetto, che avrebbe permesso ai lusitani di chiudere la contesa con gli sloveni nei novanta minuti regolamentari, ha fatto il giro del Mondo. Così come stanno sorprendendo le prestazioni in negativo dell’ex PSG: una sola rete, tra l’altro realizzata dagli undici metri, non basta a tacitare le critiche di tifosi e addetti ai lavori.  

Il percorso poco convincente dei giocatori maggiormente pubblicizzati è stato parzialmente compensato da inattesi protagonisti, tipo Diogo Costa. Letteralmente provvidenziale il portiere portoghese negli ottavi, contro la Slovenia: prima strozza in gola l’urlo del gol, cancellando con una parata salvifica il contropiede di Šeško. Poi alla lotteria dei rigori ipnotizza i tiratoti sloveni, inchiodando le conclusioni di Ilicic, Balkovec e Verbic.

I problemi di Martínez

Su Ronaldo pesa da sempre una sorta di pregiudizio ideologico, che puntualmente viene scaricato sull’allenatore di turno. In questo caso, Roberto Martínez. Sul commissario tecnico del Portogallo, infatti, aleggia la sgradevole sensazione che CR7 continui a ritenersi un intoccabile, quasi per diritto divino. Al di là delle considerazioni sull’età – a 39 anni dovrebbe avere maturato la consapevolezza di non essere esplosivo come un tempo, e accettarla con serenità – la gestione di un Top Player, che però non scende a compromessi, diventa un onere per la squadra. Così sembra davvero che non possa essere sostituito, tantomeno occupare una posizione differente rispetto a quella che predilige negli ultimi anni. Ovvero, da attaccante puro, pur tendendo a spostarsi verso sinistra.

Una situazione che indirettamente produce effetti nefasti anche su Rafa Leão. Pure l’esterno del Milan, per indole naturale, batte la medesima zona di campo. Allora, finiscono per calpestarsi i piedi. Mentre potrebbero benissimo coesistere, in virtù di caratteristiche a tratti complementari: Cristiano si accentra e punta la porta; Rafa strappa verso il fondo. Forse per questo motivo Martínez aveva immaginato un sistema alternativo al “classico” 4-2-3-1, schierando la Seleçao al debutto europeo contro la Repubblica Ceca sulla scorta di un inedito 3-5-2. In cui Ronaldo era il falso nueve, Leão giostrava da seconda punta e João Cancelo agiva a tutta fascia. Un esordio talmente deludente nella rassegna continentale, da costringere il c.t. del Portogallo a tornare all’antico già nella seconda giornata, con la Turchia. Morale della favola, ennesima gara sotto tono e sostituzione all’intervallo. Due bocciature consecutive, appesantite da altrettanti cartellini gialli per fastidiosissime simulazioni, rimediati causa ossessiva ricerca del fallo da rigore.

Una nuova identità tattica

I lusitani rimangono comunque tra i favoriti alla vittoria di Euro2024. Proprio grazie alle intuizioni tattiche del loro allenatore, che ha cucito la manovra sul fraseggio corto, memore di un organico ricco di palleggiatori (Bruno Fernandes, Vitinha, Bernando Silva), che coniugano il senso per la verticalizzazione alla pulizia nell’amministrare l’attrezzo. Al punto che oggi pare possano ambire a risultati importanti, che trascendano l’ego di CR7, palesemente interessato ad accumulare record personali, e gli individualismi di Leão. Una identità tattica basata sul possesso metodico, senza andare necessariamente a ritmi ipercinetici, che finisce per soffocare chi predilige dribblare e puntare sulla velocità, sciamando negli ampi spazi concessi dagli avversari. Una giocata, tuttavia, inibita dallo stesso approccio dei lusitani, la cui mancanza di intensità favorisce la possibilità che la controparte si compatti, stretta e corta, sottopalla.

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