Quando Juan Jesus arrivò a Napoli nell’estate del 2021, dopo due anni di sostanziale inattività o quasi alla Roma, lo scetticismo nei suoi confronti era sin troppo evidente. Nonostante avesse un curriculum arricchito da (quasi…) duecento partite in Serie A, sembrava francamente a fine corsa.

Aleggiava, infatti, la preoccupazione che fosse un ripiego, buono esclusivamente per riempire l’ultimo slot in organico. Del resto, avrebbe dovuto teoricamente ricoprire un ruolo marginale, quello di quarto centrale nelle rotazioni di Spalletti.

Convinzione subito demolita, perché il brasiliano non ha mostrato alcun problema a calarsi nel contesto, adattandosi alla scomoda situazione di rincalzo, al punto da diventare in brevissimo tempo uno dei leader emotivi all’interno dello spogliatoio.

Forse il passaggio più difficile per chi era abituato a giocare con una certa continuità, prima di finire ai margini della rosa giallorossa, a causa delle incomprensioni nel rapporto con Fonseca.

Puntuale quando serve

Invece Juan Jesus, è andato ben oltre le più rosee aspettative, mantenendo comunque standard di rendimento altissimi, tutte le volte che ha dovuto sostituire Koulibaly o Rrahmani. Magari perdendo qualcosina nella qualità dell’impostazione, tuttavia dominando fisicamente gli avversari senza sbavature.

La passata stagione l’assenza del senegalese, partito per la Coppa d’Africa, aveva scaricato sul brasiliano una grossa responsabilità: coprire le spalle al kosovaro. Ma al contrario di chi pensasse il Napoli dovesse attraversare un periodo interlocutorio senza “The Wall”, la retroguardia partenopea non abbassò affatto il livello prestativo.

La medesima situazione si è riproposta con l’infortunio di Rrahmani: altro che giocare meno bene. Gli azzurri volano, in campionato e Champions League. Ed in difesa hanno assorbito senza grossi scossoni la preoccupazione di dover rimettere Kim nella sua posizione naturale, dopo avergli chiesto di adattarsi sul centro-sinistra.

Mai intimorito dagli avversari

Juan Jesus finora ha saputo interpretare perfettamente la parte, che prescinde dall’alzare semplicemente la competitività degli allenamenti, come succede, ad esempio, con i veterans nella NBA. Ovvero, giocatori che si accontentano di spendere le loro ultime energie in cambio di un onesto contratto da gregario.

Per il centrale brasiliano, quindi, Napoli non rappresenta l’ultimo giro di valzer. Perché è ancora tempestivo nei duelli aerei; nonché a proprio agio nelle chiusure, con quello stile sobrio ed essenziale. Ama difendere in avanti piuttosto che subire passivamente i movimenti dell’avversario. Dunque, talvolta preferisce rompere l’allineamento e andare a prendere alto il dirimpettaio, lasciando scoperti decine di metri alle sue spalle, consapevole di poter recuperare in virtù di ragguardevoli doti atletiche.

Quest’anno non s’è fatto mai intimorire dall’atteggiamento vagamente minaccioso di attaccanti del calibro di Nzola, Kudus, Zirkzee, Abraham, Pinamonti, Højlund. Il suo obiettivo è sempre stato disinnescarli, togliendo puntualmente loro tempo e spazio.

Juan Jesus vs Højlund, Atalanta-Napoli

Insomma, da panchinaro di lusso a pilastro “aggiunto” della difesa, il passo compiuto da Juan Jesus appare lampante.  

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