Ormai non sembra nemmeno più una questione meramente calcistica. Anzi, la crisi in cui è piombato il Napoli afferisce poco o nulla con le lacune tattiche e le amnesie tecniche palesate finora dai Campioni d’Italia. Un approccio al problema iperprotettivo, per cui a furia di tutelare la squadra, sottraendole ogni onere circa l’andamento fallimentare della stagione post scudetto, ha finito per innescare un deprimente circolo vizioso.

In effetti, l’idea di sgravare i giocatori da ogni colpa, ed al contempo mettere sul banco degli imputati prima il presidente, poi i due allenatori, sta contribuendo ad alimentare un racconto fuorviante, dalle conseguenze assai nefaste. Perchè continua a garantire un alibi precostituito al gruppo. Quella facile ancora di salvataggio cui potersi appigliare in questo momento burrascoso. Dimenticando che proprio il loro atteggiamento pigro e senza mordente ha generato una situazione (quasi…) irreversibile.

Del resto, quando accetti supinamente di farti maltrattare da chiunque, al Maradona oppure nelle trasferte in giro per l’Italia e l’Europa, significa davvero che manchi di personalità: qualità imprescindibile per sostenere il peso di un titolo prestigioso, nonché onorare la maglia.

Mou provoca il Napoli

A fornire la controprova di quanto agli azzurri manchi l’orgoglio provvede la gara dell’Olimpico. Che certifica, se ancora se ne sentisse il bisogno, la benché minima assenza di cattiveria agonistica. Altro che feroce determinazione, il Napoli attuale è un coacervo di gente dagli attributi modesti, se non addirittura atrofizzati. Consentire a Mourinho di inveire bellamente contro Kvara, nel più assoluto silenzio dei compagni piuttosto che della panchina, equivale alla resa priva di condizioni cui deve sottostare chi ormai è incapace di combattere.    

Il vuoto cosmico a livello caratteriale, tipico delle squadre senza anima. Almeno un briciolo di dignità avrebbe dovuto spingere qualcuno dei giocatori napoletani a rispondere al gesto insolente e volutamente provocatorio dello Special One. Niente di tutto questo: encefalogramma piatto, testimonianza di reattività vicina allo zero all’interno di una squadra che si è fatta mettere i piedi in testa costantemente da Top Club (o presunti tali…), media borghesia pallonara e candidate alla retrocessione.  

Insomma, quello che fa più male è assistere allo spettacolo pietoso di uno spogliatoio in cui manca cuore. L’istante in cui il georgiano, assieme al resto dei suoi compagni, si sono letteralmente sciolti come un ghiacciolo all’equatore nella baraonda emotiva creata ad arte dai giallorossi, all’ombra del Vesuvio hanno preso consapevolezza della scomparsa definitiva del Napoli, assassinato dagli stessi protagonisti della cavalcata tricolore.  

© RIPRODUZIONE RISERVATA

RESTA AGGIORNATO SUL NAPOLI: