Dopo la prima sconfitta stagionale in campionato con l’Inter, all’ombra del Vesuvio, una parte di tifosi e addetti ai lavori mostrano i primi segni di insofferenza. Dimenticando forse che il Napoli resta un gruppo forte, profonda nelle rotazioni. Poco propensa a subire gli scossoni derivanti da un risultato deludente.   

Perché gli azzurri, pur senza grandi slanci sul piano dell’intensità, hanno comunque mostrato una precisa idea di gioco: il classico possesso organizzato e qualitativo. Che però rivela tutti i suoi limiti, se condotto decisamente sotto ritmo.

Un discorso che vale soprattutto dopo la lunga pausa per il Mondiale. In tanti (forse troppi…) continuano a domandarsi se questi due mesi di inattività abbiano fatto male agli uomini di Spalletti.

Gambe pesanti, stop inevitabile

Il dato più significativo evidenziato dai nerazzurri rimane la difficoltà palesata dalla squadra partenopea nel risalire il campo, così da disinnescare il pressing alto ordinato da Simone Inzaghi.

Creando al contempo quei proverbiali spazi alle spalle degli avversari, che rendono il giropalla del Napoli sicuro, meno esposto a rischi. In questo contesto tattico sarebbe controproducente non rimarcare la staticità di alcuni protagonisti.

Partiamo da Kvaratskhelia. Potersi appoggiare sulla capacità del georgiano di generare superiorità numerica grazie al dribbling rappresenta un’arma prodigiosa, sostanzialmente inutilizzata contro l’Inter. Anche a causa di una certa “miopia” dell’arbitro Sozza, abbastanza tollerante sui contrasti, specialmente negli interventi da dietro. 

Una circostanza che ha costretto gli azzurri a cercare soluzioni alternative. Tipo esplorare gli smarcamenti in verticale delle mezzali. In teoria, Anguissa e Zielinski avrebbero dovuto apportare nuova linfa al gioco, attraverso esuberanza fisica e abilità nelle letture. Invece hanno sofferto la maggiore aggressività dei centrocampisti interisti, in grado di esaltarsi nelle azioni di pressione e raddoppio.

A minare la brillantezza della capolista hanno contribuito quindi le gambe pesanti. Che hanno sottratto innegabili certezze sul piano dell’equilibrio, nelle due fasi in cui si articola il gioco. Perché se arrivi costantemente in ritardo sulla palla, poi vai in affanno. E non riesci a nascondere, tantomeno a compensare, la fatica che sta facendo la squadra.

Complicato immaginare, in mancanza di alternative al solito piano-gara, come potesse esprimersi compiutamente Osimhen: pure appoggiarsi sul nigeriano, permettergli di ricevere il pallone sui piedi e proteggerlo, favorendo l’attacco agli spazi dei compagni, diventava vacuo, poiché privo della necessaria esplosività negli inserimenti da dietro.    

Testa alla Sampdoria, senza drammi

Insomma, la ripresa della Serie A è stata traumatica per il Napoli, che magari aveva abituato troppo bene, alla luce di un sontuoso scorcio di stagione pre-Qatar.

Nondimeno, resettare gli effetti nefasti prodotti dalla trasferta di Milano, considerandola come un semplice incidente di percorso sulla via del ritorno all’attività agonistica, sembra l’unico scenario possibile per rendere meno nebuloso il prossimo futuro.

Dunque, niente drammi: urge semplicemente voltare pagina e pensare subito alla Sampdoria.

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