Con una secchiata di acqua gelata in pieno viso il Napoli si sveglia dal sogno Champions: adesso i Campioni d’Italia devono fare i conti con una dura realtà. Che ovviamente si scontra con la precarietà di un progetto societario nient’affatto strutturato per competere ad armi pari con Top Club come il Barcellona.

Nei giorni che hanno preceduto la trasferta in Catalogna nell’ambiente partenopeo c’era grossa fiducia circa le possibilità di passare il turno degli azzurri. Una discussione che probabilmente non ha tenuto conto di quale fosse l’effettivo valore della squadra di Xavi: parente alla lontana della fenomenale macchina da guerra calcistica di qualche stagione fa. Ma comunque letale, alla stregua del mamba nero. Non a caso, l’aforisma che ne caratterizza la storia etichetta més que un club i blaugrana. Frase cult che certifica un dna vincente. Capace anche di influenzare qualche decisione arbitrale.    

Del resto, il comportamento di Makkelie suggerire di approfondire esplicitamente questo punto di vista, perché se sbagli ciclicamente sempre a favore di una parte, allora anche un netto 3-1 come quello di ieri sera sembra sfuggente e non definitivo. Al 5′ della ripresa sorvola sul fallo in area di Cubarsì su Osimhen, toccato sul piede sinistro: poteva essere l’occasione per pareggiare, visto che eravamo sul 2-1.

Interessante constatare pure l’omertosa complicità del Var, che ritiene giusto non richiamare l’attenzione del direttore di gara, sorvolando palesemente su quanto prescrive il regolamento in circostanze simili. Critiche poi al cartellino giallo mostrato a Christensen per un brutto fallo su Lobotka. Magari poteva starci il rosso. E sul gol del vantaggio del Barça, l’azione nasce da un fallo fischiato a Traorè su Fermín Lopez, abbastanza dubbio.

Il peso dei singoli

Sia ben inteso, un arbitraggio non all’altezza delle aspettative non deve far urlare allo scandalo: inutile quindi appigliarsi alle sponde benevole fornire dai cortigiani presidenziali, già pronti a dissotterrare l’ascia di guerra, cavalcando il malcontento popolare. Così da alimentare dinamiche complottiste, piuttosto che analizzare i motivi di una stagione decisamente disastrosa. Troppo semplice derubricare le responsabilità di proprietà e giocatori, giustificandone mancanze varie e omissioni assortite.  

Un arbitro mediocre non spazza via la sensazione che il Barcellona avesse in ogni caso il controllo totale del match, troppo più forte – non solo tatticamente – della squadra di Calzona. Mettendo sul piatto della bilancia i nomi scesi in campo al Montjuïc, appare evidente quanto pure il peso dei singoli sia stato determinante per indirizzare le sorti della qualificazione.

In definitiva, abbandonare la Coppa dalle Grandi Orecchie lascia grande amarezza. Specialmente nel momento in cui gli azzurri avevano pregustato il dolce sapore della rimonta. Nondimeno, bisogna ripartire necessariamente da qui, la reazione al tiki-taka intenso e qualitativo del Barcellona è stata a tratti incoraggiante. Peccato che probabilmente non basterà per salvare una stagione che paventa sempre più l’etichetta di fallimentare.   

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