A poche ore dalla vittoria sul Parma, resta forte la sensazione che senza il gesto sconsiderato di Suzuki, difficilmente il Napoli avrebbe ribaltato la partita. L’uscita da kamikaze del portiere giapponese ha lasciato in dieci i gialloblù, che fino a quel momento sembravano poter assorbire le sfuriate degli azzurri con discreto successo. Una considerazione che trova forza soprattutto nel primo tempo degli uomini di Pecchia, capaci di incartare i padroni di casa con una proposta di gioco assai ambiziosa. Un calcio ragionato eppure intensissimo, dove hanno fatto decisamente la differenza l’abilità di attivare le connessioni nello stretto. E immediatamente dopo imbucare alle spalle delle linee di pressione con improvvise verticalizzazioni.

Appare evidente che il centrocampo di Conte sia andato subito in difficoltà al cospetto del palleggio ducale. Complicatissimo, infatti, dover gestire gli scambi sul breve, in grado di garantire costantemente vantaggio numerico nella zona di centro-destra, tra Bernabè, Kovalski nel ruolo del raccordo tra le linee, e Man. Lo stesso dicasi sul versante opposto, quando si associavano tra loro Sohm, Mihaila e il trequartista polacco. In virtù del classico movimento palla avanti-indietro-dentro, gli emiliani mettevano in mezzo Lobotka e Anguissa. Costretti a uscire dalla comfort zone a caccia del pallone. Ma saltati facilmente grazie a ritmo ipercinetico, e buonissime qualità tecniche palesate dagli avversari. Che costringevano poi i due mediani azzurri a faticosissime corse all’indietro per recuperare la posizione.

In sottonumero a centrocampo

Una situazione resa ancora più complicata da decodificare, perché il calcio espresso dal Parma non era affatto sterile o monotematico. Anzi, l’Avvocatino variava con grande sagacia tattica il piano gara. Sfruttando anche la fisicità di Bonny, stimolava il lancio a esplorare la profondità, che attivava l’attaccante francese, mai avulso dal fare a sportellate o contendere le “seconde palle” a Buongiorno e Rrahmani. E se il Napoli era messo bene in campo, con le giuste distanze, allora era l’atletismo di Coulibaly – dirottato a sinistra dopo l’uscita di Valeri – a spostare l’asse della manovra. Sostanzialmente, il Parma forzava il possesso sul lato forte. Addensava lì giocatori che toccavano spesso il pallone, con Bonny che viene incontro a fare da sponda, appoggiandosi su Man. Quindi, il rumeno ribaltando interamente il fronte d’attacco, e attivava il lato debole. Favorendo la risalita del campo attraverso il cambio di gioco. 

A proposito di esterni. Ieri sera il Napoli ha sofferto non poco il rendimento insufficiente di Politano e Mazzocchi. De facto inadatti a bilanciare gli inserimenti di Mihaila e Coulibaly: troppo lo spazio concesso, si creava una voragine tra il laterale a tutta fascia che saliva per contrapporsi al terzino gialloblù, e la “terra di nessuno” alle sue spalle. Dove si buttava puntualmente Mihaila, mai assorbito da Politano, perennemente in ritardo nella fase di copertura.  

Lo stesso problema l’ha avuto Olivera con Man. L’uruguagio difetta nella marcatura diretta, e nelle preventive appare veramente disastroso. Pecche che ne hanno messo a nudo il modo approssimativo di contenere un’ala elettrica che sa interpretare il ruolo pure come una seconda punta. Dunque, con un maggior ventaglio di giocate in termini di sfumature prettamente offensive, tipo smarcarsi senza palla, per ricevere e poi superare l’uomo rientrando sul sinistro.

Il bello viene adesso

Insomma, fino all’espulsione, il Parma ha dato l’impressione di essere davvero una realtà ben organizzata. In grado di far male non soltanto con rapide ripartenze. Merito del Napoli aver ripreso per i capelli un match che sembrava indirizzato su ben altri binari. Il gruppo che sta cercando di costruire Conte ha mostrato sì dei limiti di natura strutturale. Ma anche di saper soffrire e disfare un trend negativo, che magari l’anno scorso avrebbe fatto soccombere desolatamente la squadra. Al contrario, la rimonta certifica che gli azzurri hanno potenzialmente in mano le carte per costruirsi una stagione ambiziosa.

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