Dopo l’esordio del Napoli a Frosinone pare che gli scettici siano diventati minoranza: una voce residuale, incapace di trattenere quel senso di incompiutezza tipico della critica a oltranza. Siamo solo alla prima giornata, ma invece all’ombra del Vesuvio già pregustano un futuro radioso. Certi che le fondamenta del gruppo che sta costruendo Garcia possano essere abbastanza solide.

Del resto, sognare non costa nulla. Anche se la concorrenza mira a ridurre drasticamente le distanze dai Campioni d’Italia.

Il nuovo allenatore degli azzurri ha deciso di affrontare la trasferta in Ciociaria puntando sulla continuità, consapevole che sono stati proprio i principi maturati lo scorso anno dalla squadra a permetterle di conquistare con ampio margine di vantaggio lo Scudetto. Nonchè esprimere un gioco a tratti assai seducente pure in Champions League.

Insomma, il tecnico francese ha le sue idee. Nondimeno, almeno in questa fase della stagione sceglie di affidarsi al passato. Al nuovo che avanza, il vecchio telefona. A patto però che non si trasformi in un ingombrante onere da sopportare.

Uguale eppure diverso

Quindi, come la più classica delle proprietà commutative, cambiando l’ordine dei fattori – la guida in panchina – il prodotto rimane il medesimo. Anche se questo Napoli è leggermente diverso.

Eppure nei venti minuti iniziali in cui il Frosinone ha profuso tutti i suoi sforzi, è riuscito a generare qualche interrogativo al piano gara di Garcia. Il pressing asfissiante ordinato da Di Francesco, almeno fino a quando l’intensità per aggredire in avanti consente alla neopromossa di mantenere alto il baricentro, oltre a reparti stretti e corti, ha prodotto un briciolo di ansia. Svanita nel momento in cui sono emersi prepotentemente i reali valori, in termini di eleganza e fisicità, con la schiacciante preponderanza del Napoli.

Al netto, dunque, delle fisiologiche amnesie del calcio d’agosto, il debutto con lo scudetto cucito sulla maglia ha suscitato comunque delle sensazioni interessanti. Evidenziando, al contempo, qualche piccolo passaggio a vuoto. Da memorizzare ed eliminare subito. Il possesso continua ad essere di gran qualità, pur tardando a rievocare il giropalla ipercinetico espresso con Spalletti.  

Se la mancanza di ritmo espresso con una certa continuità può essere imputata al periodo ancora di rodaggio, è innegabile la voglia di esplorare vie alternative all’ampiezza. Con gli esterni d’attacco, complice l’assenza di Kvaratskhelia, orientati a stringere spesso la posizione, venendo dentro al campo, piuttosto che mettere i piedi sulla linea.

L’impressione che (specialmente…) Raspadori e Politano preferiscano sviluppare un maggior dialogo, associandosi con Osimhen o Zielinski, sembra la novità della manovra offensiva: un upgrade in grado talvolta di disordine la difesa dei padroni di casa. Bisogna aggiungere, tuttavia, che così facendo si sfrutta poi poco la sovrapposizione interna dei terzini: movimento tipico del Napoli spallettiano.

Urgono test più probanti

Attualmente la grande incognita rimane l’impenetrabilità della retroguardia. Positiva la risposta di Rrahmani e Juan Jesus agli stimoli proposti da Cuni e Borrelli. Il resto lo fa la naturale predisposizione di difendersi rompendo la linea. Con il brasiliano che si allungava con autorevolezza fino a centrocampo, mentre il kosovaro gli faceva la copertura.

Situazioni, in ogni caso, da testare al cospetto di avversari dall’indole decisamente più incisiva. Capaci cioè di aprire qualche crepa nella difesa partenopea, rendendosi veramente pericolosi negli ultimi sedici metri.

A proposito di centrali: l’assenza di Kim, imperioso nel favorire la risalita della palla dal basso, obbliga Lobotka ad abbassarsi, inserendosi proprio tra i due difensori. Soltanto in questa maniera il pivote slovacco si sottrae alla marcatura personalizzata, costruendo dal basso. In un contesto tattico dove la fa da padrone un calcio diretto e verticale.

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