La serata si mette in salita ed il secondo tempo di un incontro di calcio diventa un attacco al fortino.
Gli Indiani assaltano il forte degli Americani. I pellerossa si spingono impetuosi e la cavalleria si prepara al contrattacco.
O tutto o niente. Da questa battaglia si esce vincitori o morti.
È il credo della rivoluzione.
Ernesto Guevara, il Che, lo ha insegnato ad una generazione che vive e vivrà ancora.

Chi è Kvsratskhelia se non un Rivoluzionario?
Chi è se non un combattente dal cuore buono?

Khvicha è uno che nei 45 minuti del secondo tempo entra in ogni azione che si sviluppa. Uno che non tira il fiato nemneno per un secondo. Non importa se non segna, non importa se si incaponisce e stanco, praticamente esausto, perde lucidità.
Conta altro e nulla ha a che vedere con il pallone, il Napoli ed il Bologna.

Un ragazzo poco più che ventenne sta vivendo un momento magico. Un abbraccio collettivo che una intera città gli porge.
Città che si porge a coloro che hanno un cuore delicato.
Kvara, aveva un cuore in più ieri sera. Aveva un cuore ed un’anima a sorreggere i passi e gli scatti. Kvsratskhelia ieri era un eroe greco. Nessuno poteva fargli male. La sua corazza era protetta da una divinità.
Era Ulisse, Re di Itaca.

Un polsino, un nome, l’8 messo in orizzontale che fa l’infinito ed una storia triste da raccontare.
Raccontare ma anche mandare in cielo.
Marita Meparishvili è una ragazza giovanissima. Una adolescente con i colpi del buon tennista.
13 anni, soltanto 13 tenerissimi anni.
Una promessa. Una di quelle che può diventare un osso duro da fondo campo con il rovescio a due mani.
È una adolescente che decide di esserlo fino in fondo e nella notte del 13 Ottobre, forse per un gioco, uno schezo maldestro, perde la vita folgorata in una fontana della città.
Tbilisi, capitale della Georgia che è anche di Kvara.

Marita ha vissuto ancora un giorno come Marinella di De André.
90 minuti sul polso di Khvicha e di tutti i Napoletani.
Marita, figlia, sorella ed amica di ogni Napoletano.