Siamo all’Inferno, adesso, signori miei. Credetemi, e possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi. Oppure aprirci la strada, lottando verso la luce…”. Troppo facile immaginare Luciano Spalletti nei panni di Tony D’Amato, all’indomani della partita con l’Atalanta.  

Eppure quanto sono diversi tra loro, l’indiscusso protagonista di quel capolavoro che è Ogni maledetta domenica, diretto in maniera magistrale da Oliver Stone, ed il tecnico di Certaldo.

Il coach dei Miami Sharks è un uomo cinico e disilluso. Tuttavia riesce a veicolare ai suoi ragazzi tutto l’amore per il football, attraverso uno dei discorsi motivazionali più belli e famosi della storia del cinema.

Nondimeno, al pari del personaggio sontuosamente interpretato da Al Pacino, l’allenatore del Napoli è consapevole del momento di grande difficoltà che sta vivendo la sua squadra.

Equilibrio e nessun piagnisteo

La sconfitta casalinga con gli orobici ha intaccato le certezze dell’ambiente circa l’effettiva possibilità che gli azzurri possano concretamente lottare per lo Scudetto.

Assenze varie ed infortuni assortiti hanno contribuito ad instillare il dubbio sulla competitività della rosa. Visto e considerato che i campionati si vincono con un roster lungo. Dove chiunque esca dalla panchina sia capace di garantire poi il giusto contributo, in termini di rendimento e minutaggio.    

In questo senso, però, solo le prestazioni di Lobotka rappresentano una piacevole sorpresa.

Verona, Inter, Sassuolo e ieri sera la Dea bergamasca: ormai i campanelli d’allarme per il Napoli iniziano a essere troppi e difficili da ignorare per non guardare al futuro, se non apertamente preoccupati, almeno con irrequietezza.

In ogni caso le parole di Spalletti confortano, perlomeno quelli che intendono affrontare il momento con equilibrio. Senza cioè farsi prendere dal classico atteggiamento uterino di chi, quando si vince, appare oltremodo esaltato. Facendosi prendere dallo sconforto più nero in occasione dei passi falsi.

Obbiettivamente, all’ombra del Vesuvio, tra tifosi e addetti ai lavori, ce ne sono davvero tanti così…

C’è sempre un motivo tattico

E’ indubbio che le soluzioni tattiche ideate da Spalletti per sopperire all’assenza iniziale di Anguissa, aggravata dalla necessità di far rifiatare il claudicante Fabiàn Ruiz contro i nerazzurri di Gasperini, non stiano producendo i dividenti preventivati.

Imprescindibile il camerunese nella fase difensiva, dal pressing alle coperture preventive, per non sentirne la mancanza pure in fase di possesso.

Nonostante Lobotka sia una piacevole riscoperta, l’aver perso il centrale ex Fulham ha obbligato il Napoli a cambiare radicalmente i suoi riferimenti sotto la linea della palla.

Non a caso, i tre gol dell’Atalanta contengono la stessa matrice.  

Pur avendo gli azzurri una sostanziale superiorità numerica e posizionale, non sono riusciti mai ad assorbire gli inserimenti lunghi delle mezz’ali bergamasche.

Nessuno dei centrocampisti partenopei ha efficacemente intaccato le sicurezze del portatore di palla avversario. Al punto tale che alle spalle della mediana napoletana gli smarcamenti per ricevere completamente liberi continuavano pressochè indisturbati.  

Aggiungiamo  il movimento a defilarsi di Zapata. Il colombiano usciva fuori linea sottraendosi alla cura diretta di Rrahmani, trovando tempo e spazio per temporeggiare. Fino all’arrivo dei compagni, che arrivavano a rimorchio e calciavano liberamente a rete.

Napoli, e adesso…

L’incapacità nel bilanciare adeguatamente l’uscita in pressione sull’altrui giropalla  e la copertura dello spazio alle spalle del centrocampo di Spalletti ha determinato quindi le occasioni gol cinicamente sfruttate dagli atalantini.

Situazione amplificata dall’assenza di Koulibaly, ovvero, il giocatore deputato ad alzare il baricentro, leggendo alla perfezione le situazioni potenzialmente pericolose. E rompere l’allineamento, per aggredire con puntualità l’avversario nella terra di nessuno.

E dunque, al termine della giostra, l’aver perso la testa della classifica lascia un discreto amaro in bocca. Non fosse altro che, pur affastellato da assenze fondamentali, come gioca il Napoli, per larghi tratti solamente in Paradiso!

Non avendo potuto sospendere la Serie A per manifesta inferiorità della concorrenza, siamo al punto di partenza. Al monologo di Pacino, valido tanto a Miami, quanto dalle parti di Castel Volturno: “O noi risorgiamo adesso, come collettivo, o saremo annientati individualmente…”.