Domani, nello scontro diretto dell’Olimpico, vedremo chi tra Roma e Napoli riuscirà a non intossicarsi le feste. Soprattutto, se prevarrà la voglia dei giallorossi di accantonare momentaneamente l’infinità querelle circa il rinnovo di Mourinho, che da tempo tiene banco all’ombra del Cupolone. Con la famiglia Friedkin che ha disertato addirittura l’incontro natalizio con tutti i tesserati, pur di non svelare i piani futuri della proprietà. Oppure saranno i Campioni d’Italia a dimostrare quanto sia stata irreale la tremenda scoppola casalinga contro il Frosinone, che ha prodotto l’eliminazione dalla Coppa Italia. Oltre alla prima vera contestazione nei confronti della squadra, accompagnata da sonore bordate di fischi mentre abbandonava il campo.

La sensazione che gli azzurri abbiano da tempo abbandonato qualsiasi velleità di difendere il titolo li obbliga quantomeno a giocarsela per un posto in Champions League. Un discorso che al giorno d’oggi deve necessariamente allargarsi pure a Bologna, Fiorentina e Atalanta. Una concorrenza nient’affatto preventivata a inizio stagione, che certifica la qualità del lavoro svolto dalla middle class. Oltre alla bontà di un progetto di crescita, che ha permesso loro di giocarsela alla pari con club (teoricamente…) superiori.

Roma, limiti fisici

Nonostante Mazzarri e Mourinho siano agli antipodi nel modo di interpretare il ruolo di allenatore, differenze abissali sul piano caratteriale, ad accomunarli in questa fase della loro carriera è indubbiamente la necessità di portare a casa dei risultati comunque accettabili con rose piene di imperfezioni.    

Mancanze strutturali che costringono lo Special One a un lavoro sfibrante per nascondere i limiti di una Roma costruita essenzialmente sulle abilità offensive di Dybala, che gravita sulla trequarti, liberò però di andarsi a cercare lo spazio, centralmente o defilandosi nei mezzi spazi, e dopo tagliando alle spalle della retroguardia. Indiscutibili le qualità de La Joya: peccato che sia fragile come una porcellana di Limoges.

In effetti, contro il Napoli, è prevedibile che per sostituire l’argentino, in infermeria a causa dell’ennesimo infortunio muscolare, venga schierato El Shaarawy, e non Belotti. Chiara l’intenzione del tecnico portoghese. Mantenere intatto un sistema di gioco diventato marchio di fabbrica della Roma attuale: 3-5-1-1 o 3-5-2, a seconda della sottopunta che agisce a supporto di Lukaku.

Napoli, difetti strutturali

Dal canto suo, ormai Mazzarri ha preso pienamente consapevolezza dei tanti difetti in seno all’organico partenopeo. In primis, una coppia di centrali lenta e impacciata, magari brava in situazione di marcatura individuale. Ma fallimentare nel pensare e agire come un corpo unico, difendendo quindi di reparto.

Forse per questo motivo gli azzurri denunciano una certa inefficacia in una giocata che sulla carta era il punto forte della squadra di Spalletti: il pressing alto sulla costruzione dell’avversario. In cui ha un peso specifico la capacità di rimanere sempre stretti e corti, orientandosi sul possessore e mettendo in ombra contemporaneamente i potenziali riceventi.

Sostanzialmente, se prima il Napoli cercava di impossessarsi del pallone fin dentro la trequarti altrui, perché Kim offriva un ventaglio di soluzioni che permettevano di variare l’altezza della linea difensiva. Adesso bisogna rassegnarsi ad accettare lunghe fasi di difesa bassa e posizionale.    

Insomma, a determinare la bontà – solo a tratti – del calcio espresso finora da Napoli e Roma contribuisce in larga misura il materiale a disposizione dei due allenatori. Le cui peculiarità tecnico-tattiche collimano poco o nulla con i modelli di gioco storicamente cari a Mazzarri e Mourinho.

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