Leo Messi non lo si può definire un calciatore. Un campione certo, uno dei tre più importanti e forti degli anni duemila ma non è solo questo.
Lo si è visto chiaramente nella serata che ha messo contro Argentina e Messico. America latina bloccata senza fiato dinanzi alla tv.
Veder Messi con la maglia a strisce bianche e celesti è una sorta di riconciliazione con il Calcio romantico.
Un balzo nel passato, un passato di idoli, uomini e bandiere. Il suo ultimo mondiale, la sua ultima possibilità di tornare in patria da eroe vendicatore.
Lasciamo da parte i paragoni col passato e riflettiamo su ciò che rappresenta un uomo come Leo.
Intorno a lui una squadra che gira a gran fatica. Vince ma con tanta fatica. La nazionale Argentina ha voluto fortemente i 3 punti. La sconfitta impensabile con gli Arabia aveva messo Leo ed i suoi compagni in una situazione dir poco imbarazzante.
Vincere o vincere.
È il destino degli Argentini e del suo massimo condottiero.
Messi o muerte direbbe un buon rivoluzionario.

Ha commosso veder le lacrime di gioia quando la palla ha superato il riccio portiere del Messico. Tornato bambino felice. Liberato dal peso infinito di una nazione. Libero per un attimo dal giogo che un intero paese stringeva.
È meraviglioso portar la responsabilità di essere un grande leader ma a volte consuma e divora. Nel caso di Leo è accaduto più volte. Ieri con quel tiro si è scrollato dalle spalle un macigno fastidioso.
Messi o muerte.
Leo non sarà mai un calciatore, piuttosto un simbolo.
Un esempio.
Una bandiera intorno alla quale sventola il romanticismo in cui la pulce può vincere contro il gigante.
Messi è una fiaba.