Meret: 6
Si cala perfettamente nel ruolo: che il sistema di Spalletti pretenda la fattiva partecipazione del portiere è risaputo. Si sottovaluta, però, l’impatto dell’Airone nella risalita della palla. Certifica come il compito di uscire, costruendo dal basso, inserito all’interno di un sistema organizzato, porta a realizzare in concreto tracce particolarmente significative da percorrere. Reattivo nello scippare letteralmente il pallone dai piedi a pochi metri dalla sua porta all’unica offensiva della squadra di casa.
Di Lorenzo: 6,5
Tratta la fascia garantendo quella confidenza che generalmente può permettersi chi sa fare entrambe le fasi, con semplicità ed efficacia. Assorbe con naturalezza Spinazzola, che ha gamba e voglia, maneggiandone con cura le sfuriate. Dopo, ribalta il fronte del gioco con eleganza, proponendosi continuamente in ampiezza. Spalletti lo incarica di una ulteriore responsabilità: riuscire a trovare il passaggio in diagonale verso Ndombele o addirittura Osimhen, che vengono incontro. Non ci si rende mai conto di quanto sia importante negli equilibri del calcio proposto dal Napoli.
Kim: 6,5
Cinicamente decisivo nel duello con Abraham. Un po’ paraculo, l’inglese, che ciondola per il campo con un atteggiamento velenosamente sornione. Magari il centravanti giallorosso tenta in questo modo di infondere nel centrale azzurro un senso di (falsa…) sicurezza. Nondimeno, resta un attaccante imprevedibile, in grado di accendersi in un attimo, qualora il dirimpettaio lo curi ingenuamente. Belotti invece copre l’attrezzo con il corpo e agevola Zaniolo e Pellegrini nell’accorciare in zona pericolo. Per disinnescarlo, dunque, ne nasce un confronto sporcato da eccessiva rudezza, talvolta poco elegante. Al tempo stesso, intenso per feroce determinazione e cattiveria agonistica. Ma è lo stile del coreano essere a tratti fisicamente esuberante nei contrasti ed in marcatura.
Juan Jesus: 6,5
A giudicarne le prestazioni dal momento che ha preso il posto di Rrahmani, il suo rendimento ne sta sostanzialmente legittimando la titolarità. Altro che comprimario, buono soltanto per veicolare dosi massicce di esperienza nello spogliatoio, alla stregua dei veterans nella NBA, utilizzati esclusivamente ad alzare il livello degli allenamenti e null’altro. Il copione della gara gli ha imposto di adattarsi allo schieramento atipico romanista, con un vertice alto a impegnare la linea arretrata e un paio di giocatori che non danno riferimenti fissi, bensì si spostano tra le linee. Il brasiliano ha provato l’anticipo, per rendere difficile la vita a Zaniolo, impedirgli di girarsi e strappare in avanti, verso Meret.
Olivera: 7
S’è guadagnato il rispetto di tutti, dimostrando grande consistenza e forza mentale. Adesso che sta attraversando un momento di grazia pare non voglia assolutamente tirare il freno a mano. Va dritto sul solito binario, mettendo cross velenosi. Karsdorp gli si para davanti ed il portoghese lo costringe a corrergli appresso nel tentativo di contenerne le scorribande. Lo scambio di posizione con Kvaratskhelia dovrebbe liberare la corsia, favorendone il lavoro in verticale. Ma il georgiano latita un tantino, ben contenuto.
Ndombele: 6
Complicato aspettarsi un impatto così immediato sul centrocampo degli azzurri, alla luce delle difficoltà palesate agli esordi. Lascia intravedere miglioramenti di partita in partita. Il suo dinamismo, spendibile non solo da mezz’ala classica, ma anche in zone più centrali, gli consente di collaborare fattivamente con Lobotka. Perché, affiancandosi al compagno di reparto in qualità di doppio pivote, lo aiutava a consolidare il possesso. Inoltre, sa muoversi senza palla, diminuendo notevolmente la distanza dalla linea offensiva. L’ammonizione suggerisce a Spalletti di tirarlo fuori dalla contesa.
(dal 56’ Elmas: 6)
Spalletti lo responsabilizza oltremodo, chiedendogli di entrare nel fulcro del gioco come non accadeva da tempo immemore. Il macedone ne ripaga la fiducia, svolgendo il compito con ordine, impreziosendo il giropalla con sicurezza nella trasmissione sul corto e senza rischiare nulla, scevro da inutili virtuosismi. Affidabile come un soldatino, ha comunque la confidenza per tentare l’imbucata morbida sulla corsa di Lozano. Ma la Roma là dietro tiene.
Lobotka: 6,5
Un mammasantissima della regia, raffinato nel muoversi con e senza palla. Infatti, la Roma aggrediva con il suo terzetto di giocatori offensivi, molto stretti per bloccare lo scarico centrale, mentre tutti gli altri giallorossi si compattavano. Visto il pressing asfissiante portato da Pellegrini non è stato raro vedere lo slovacco ricevere maggiormente defilato. Una capacità nelle letture imprescindibile per rendersi comunque visibile ai compagni in un contesto di pressione e raddoppio, associandosi con Zielinski o Ndombele per produrre insieme calcio, in virtù di un due contro uno alle spalle della prima linea di pressione.
Zielinski: 6
I padroni di casa mantengono un blocco medio, esasperando la pressione solo con il suo tridente d’attacco. In questo scenario, era ineluttabile che Piotr assumesse una posizione tutt’altro che prudente, pure eccessivamente poco conservativa. Una situazione che il Napoli cercava di usare a suo vantaggio, sfruttando la relativa libertà concessa da Cristante, teoricamente incaricato di uscire forte sul polacco, per disegnare uno schieramento orientato al 4-2-3-1. Non ha problemi a creare tocchi illuminanti o immaginifici nelle occasioni in cui la palla transita dalle sue parti. Tenta di strappare, una delle sue azioni preferite, con cui parte da dietro e si inserisce. Ma gli spazi erano rari.
(dal 74’ Gaetano: s.v.)
Fa uno strano effetto vederlo in campo con personalità, ad occupare il suo ruolo naturale, da mezz’ala qualitativa, con propensione all’inserimento offensivo. Ha dovuto aspettare qualche partita di troppo per ottenere il pieno apprezzamento che merita.
Lozano: 6
Non è di quei giocatori con il primo passo bruciante, che ti dribblano stando fermi, una caratteristica che lo renderebbe autosufficiente. Ma la manovra della squadra partenopea sulla destra resta condizionata ad una catena coordinata, i cui sincronismi premiano le sovrapposizioni di Di Lorenzo. Nonché la vicinanza di Ndombele, pronto ad assecondarlo, dialogando sul breve e coprirlo. Tuttavia, quando El Chucky prende velocità a seguito del primo controllo orientato, diventa arduo stopparlo. Le critiche che tirano in ballo una certa inconsistenza difensiva permangono. E aumentano i sospetti che tale limite rappresenti purtroppo quel confini invalicabile tra offensive player devastante e giocatore monotematico, spendibile solamente in fase d’attacco.
(dal 74’ Politano: 6,5)
Riceve largo, coi piedi ben piantati sulla linea laterale, e poi tenta di attraversare prepotentemente la trequarti in diagonale. Vuole generare qualcosa di interessante, ovvero concludere con finte e cambi di passo. Invece, a piede invertito, inventa una rifinitura sontuosa, che inganna Spinazzola, alzatosi tantissimo per andare a contrastarlo. Vede un barlume di luce dove ci sono (quasi…) esclusivamente ombre. L’assist è un cioccolatino succoso, che Osimeh scarta saporitamente.
Osimhen: 7
Spina nel fianco della Roma. Quando attacca la linea difensiva, sembra davvero il ragazzino velocissimo, che prova a bruciare i pari età, incapaci di tenerne il passo. Non è supponenza, tantomeno arroganza. Invero, ogni palla nello spazio profondo suscita apprensione nei difensori capitolini. Ma non gioca sempre alla stessa maniera. Anzi, in questa nuova versione, il nigeriano si abbassa per triangolare e dopo, attraverso smarcamenti a mezzaluna, attaccare fronte alla porta come piace a lui. Con quella leggerezza nella corsa che incute timore. Regge i duelli fisici con avversari assai più strutturati, tipo Smalling, grazie all’abilità nel creare separazione – come si direbbe nel basket – dal suo marcatore diretto. L’invenzione con cui ammutolisce l’Olimpico vale il prezzo del biglietto. “Sente” la porta piuttosto che vederla veramente: lo smarcamento fuori linea è un capolavoro. Come, del resto, il diagonale balisticamente imprendibile.
Kvaratskhelia: 6,5
I dribbling non riusciti sono la prima cosa che salta all’occhio. Eppure, non è affatto un dribblomane ostinato. La qualità complessiva delle sue giocate col pallone tra i piedi lo renderebbe veramente immarcabile. Invece Karsdorp ne spegne ardori e velleità. Gli chiude la possibilità di rientrare dentro al campo, onde evitare che possa provare comodamente il tiro o il passaggio filtrante. Allora il georgiano cambia scenario e esplora il fondo, tentando di crossare con il mancino. Cambia radicalmente l’approccio al match nella ripresa. Tornando il tradizionale esterno ossessivo, pericoloso da affrontare semplicemente in situazione di uno contro uno, che stasera s’è visto solo mezzo tempo.
Allenatore Spalletti 6,5
Ha avuto l’intelligenza di leggere il piano gara di Mourinho, trovando il modo per nascondere la palla ad una Roma stretta e corta. Interessata più a non concedere alcuno spazio, pedinando ciascuno il proprio uomo di riferimento, piuttosto che giocarsela alla pari con il Napoli. Gli azzurri hanno avuto la pazienza di giocare sui fondamentali, abbinata alla concentrazione di non forzare l’imbucata. Il proverbiale avanti-dietro-dentro la soluzione migliore per stimolare l’ampiezza. Un principio mirato proprio a offrire costantemente appoggi al possessore, fino ad avvicinarsi all’area giallorossa.
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