Talvolta basta una vittoria roboante per continuare ad alimentare l’entusiasmo. E’ quello che sta succedendo al Napoli tutto nuovo creato da Antonio Conte. Una metamorfosi ai limiti dell’incredibile: dall’esordio traumatico di Verona alla “manita” rifilata a metà settimana al Palermo. Nel mezzo, un filotto di risultati positivi che veicolano la gradevole sensazione nei tifosi napoletani che gli azzurri siano sulla strada giusta per diventare una squadra matura. In grado di disputare una stagione ambiziosa. La controprova, con il Monza, per non vanificare gli effetti benefici del successo in Coppa Italia. Ecco com’è andata…
Caprile: 6
Reattivo al 5’ nell’allungare la traiettoria di un insidioso cross di Pereira, che poteva diventare molto pericoloso. Vola (58’) plasticamente sulla zuccata di Djuric, concedendo qualcosina ai flash dei fotografi. Inoltre, smista il pallone coi piedi con una certa qualità.
Di Lorenzo: 6,5
In virtù dell’intesa costruita con Politano, si aggiunge alla fase di possesso, trasformandosi in una fonte di gioco offensivo alternativa al tridente. D’altronde, quando la situazione lo richiede, è abilissimo nelle sovrapposizioni (sia interne che esterne), determinando spesso superiorità numerica nella metà campo altrui. Costringendo Kyriakopoulos a estenuanti corse all’indietro.
Rrahmani: 6,5
Efficace nei duelli corpo a corpo con Djuric, uno di quei centravanti che si spendono per la squadra, proteggono il pallone per ripulirlo e associarsi ai compagni. Il kosovaro amministra lo spazio davanti a sé, consapevole che l’attaccante bosniaco fa la spola e gravita al centro dell’area partenopea, tra lui e Buongiorno, in attesa del pallone giusto, per colpire letale. Una opportunità oggi negatagli.
Buongiorno: 7
Prototipo del centrale di alto livello, dominante in marcatura e nelle coperture preventive, capace all’occorrenza di rompere la linea e controllare in maniera produttiva Djuric. Un vero mastino.
Olivera: 6
Il suo incedere è sicuramente meno irruento del capitano nel ribaltare il fronte d’attacco. Non sarà devastante in percussione, però nella risalita palla al piede le sue progressioni trovano sfogo soprattutto sull’asse verticale, verso Kvara. Avrebbe potuto sfruttare meglio l’abilità di associarsi al georgiano, visto che Pereira lasciava tanto spazio in fascia, dovendo assorbire centralmente i tagli del numero 77.
(dal 91’ Spinazzola: s.v.)
Partecipa alla festa finale, giusto per sentire il pubblico urlare: “Salutate la capolista…”.
Anguissa: 7
Classica mezzala di tocco, che diventa ingiocabile se ha lo spazio per andare palla al piede. Il modo come orienta il corpo in ricezione col primo controllo inganna Pessina, chiamato in prima battuta a curarne gli inserimenti, permettendo al camerunese di attrarlo, nascondere palla, e dopo sottrarsi alla pressione. A quel punto, approfitta dei buchi che si creano, verticalizzando oppure strappando in conduzione. Da il là per il raddoppio, cacciando ferocemente la palla in uscita dal basso, intercettandola col giusto timing.
Lobotka: 6,5
Rimane l’epicentro di tutto, pietra angolare di questa. Quello che stabilisce come si svilupperà il gioco del Napoli nelle due fasi: testa alta ad avviare l’azione, legandola con letture mai banali. Occhi attenti che scrutano un ampio ventaglio di soluzioni. Scaricare vicino per sviluppare con calma. Oppure allargare verso l’esterno, dando vita al tradizionale sovraccarico laterale, che sollecita la costruzione in fascia del triangolo offensivo.
(dal 91’ Gilmour: s.v.)
Garbage time e poco altro.
McTominay: 6,5
Garantisce un certo grado di qualità e sofisticatezza nell’uscita del pallone, collaborando con gli altri centrocampisti per consolidare il possesso. Poi, grazie alla spiccata attitudine a compiere movimenti profondi diversificati, si butta dentro per aprire linee di passaggio. Senza trascurare un piccolo particolare. Ha visione e piedi educati per rifinire con imbucate che tagliano letteralmente in due il Monza.
Politano: 7
Il suo segreto, cosa lo rende veramente esplosivo? Il controllo del corpo associato alla sensibilità del mancino. Emblematica l’azione del primo gol: s’è messo nelle condizioni migliori per isolarsi nell’uno contro uno. E sprintare poi verso Turati. E quando non si mette in proprio, facendo passare il pallone attraverso la cruna di un ago, sono i compagni a servirlo coi giri giusti.
(dal 86’ Neres: s.v.)
Presumibile che stia solamente scaldando il motore; un po’ tutti infatti gli predicono un futuro nemmeno lontanissimo in cui potrà contendere una maglia da titolare a Politano. Nel frattempo, il suo destino rimane subentrare in corso d’opera, e dare i numeri. Del resto, ci mette talmente poco a carburare, prendere le misure e diventare incandescente, sfiorando il 3-0.
Lukaku: 6
Il Napoli parte proprio dalla capacità del belga nel prendere posizione in post basso per mettere a punto i suoi meccanismi offensivi. Lo strumento cui appoggiarsi per far uscire il pallone direttamente dalla difesa. Ricevendo di spalle, tuttavia, può solo dare continuità al possesso, certamente non indirizzarlo, con Pablo Mari o Carboni abbarbicati alle caviglie. Deve fare a sportellate per mantenerne il possesso. Non si tira indietro, allarga le braccia, difende il pallone. Allora, urge fargli arrivare l’attrezzo sulla trequarti: lì si svela l’arcano. Non è semplicemente una questione di sponde. Big Rom è specialista nel dialogare sul breve e immediatamente dopo aggredire la profondità, facendosi restituire il pallone corsa. Travolgente alla stregua del più immarcabile tra i wide receiver della NFL. Tipica partita di sacrificio e lavoro oscuro in funzione del benessere collettivo. Che magari piace poco alla critica superficiale. Ma tantissimo agli allenatori.
(dal 86’ Raspadori: s.v)
Perfetto in uscita dalla panchina, subito pronto a calarsi nella contesa, con feroce cattiveria agonistica. Ci mette un attimo a ricevere nello stretto e girarsi in piena area, concludendo di un soffio al lato.
Kvaratskhelia: 6,5
Incarnare il cliché dell’ala ipercinetica e appariscente. Che si inventa dal nulla giocate risolutive. Non perché sia un incosciente. Bensì, perché in fiducia. E poco importa che dopo tutte le stecche subite, sia lui a beccarsi l’ammonizione, rifilando un pestone. Vola elegante, leggero come un aquilone. Sembra che il campo si inclini paurosamente quando punta il dirimpettaio. Lo punge continuamente, prendendolo controtempo. Quel proverbiale stop and go con cui rallenta, riparte e cambia direzione. Lasciandosi dietro Pereira che cerca vanamente di contrastarlo. Quel tipo di soluzione che fa chi ha un’altissima considerazione di sé, ma la supporta col sudore e le lacrime del lavoro quotidiano in allenamento. Sfrutta il rimpallo per raddoppiare: una sorta di risarcimento della sorte per le botte prese (tante) e restituite (il giusto).
(dal 74’ Mazzocchi: s.v.)
Se c’è un profilo che non vuole mai saperne di mollare, quello è il ragazzo originario di Barra. Uno che ti aspetti non faccia molte cose, con i suoi evidenti limiti nei fondamentali. Nondimeno, capace di rendersi utile svolgendo benissimo i compiti assegnatigli. Da applausi la volta finale, con relativo assist per Raspadori. Meritava venisse onorato con maggior precisione. Come d’altronde, lo scippo e relativa imbucata per Neres, che poi ha sfiorato il 3-0
Allenatore Conte: 6,5
L’archetipo del Top Coach. Nella ripresa accetta prima di amministrare il doppio vantaggio, concedendo il mero possesso ai monzesi. Che però non trovano mai lo spazio per rendersi pericolosi. In sostanza, un mero giropalla perimetrale, assorbito dagli azzurri senza troppi patemi. Poi legge la difficoltà a metà secondo tempo dei suoi e cambia modulo, ridisegnando la squadra in un solido ed ermetico 3-5-2. E con le forze fresche consente al Napoli di chiudere in crescendo. Ribaltando il fronte, aggredendo e andando in transizione.
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