NapoliCagliari, il passaggio del turno in Champions ha contribuito a ritrovare autostima, nonché togliere un po’ di ansia ad una squadra che veniva comunque da due sconfitte consecutive in campionato, contro le “strisciate”. Calendario alla mano, oggi gli azzurri contavano di poter recuperare qualche punticino alle dirette concorrenti. Di mezzo, però, c’erano i sardi. Ecco com’è andata…

Meret: 6,5

Chissà perché a qualcuno piace dare maggiormente spazio ai suoi errori, che – sia ben inteso – fanno parte della storia di qualsiasi portiere, specialmente quelli etichettati come talenti precoci. Quasi che le incertezze passate coi piedi, poi superate, oppure qualche scivolone tra i pali quest’anno, siano ormai lo scontato marchio di fabbrica dell’Airone friulano. E’ vero, nelle uscite alte può, anzi deve ancora migliorarsi. Sullo sfondo dei dubbi che continuano ad albergare, lui manda messaggi nemmeno tanto subliminali, e fa grandi parate. Come l’uscita con cui ricaccia in gola l’urlo del gol a Nandez, lanciato in contropiede.

Di Lorenzo: 7

Le tante giocate del Capitano nelle due fasi raccontano molto della sua partita: in primis, l’attenzione massima nel controllare la zona. Ergo, quanto sia fondamentale sotto la linea della palla. Anziché prezioso nella spinta propositiva, dettaglio nient’affatto trascurabile nell’impianto tattico che mira a controllare i flussi di gioco col possesso. L’intesa con Politano – creare connessioni con l’esterno o andare in ampiezza – abbinate allo stile con cui interpreta il ruolo della “finta mezzala”, ne fanno notare la straordinaria importanza. Non a torto, viene considerato uno dei più forti terzini d’Europa.

Rrahmani: 6

Non ha mantenuto lo stesso picco di resa dell’annata passata con Kim al fianco. Finora ha smarrito il suo habitat naturale, orfano del “Mostro”. Nondimeno, Mazzarri continua a credere nel kosovaro. Il classico investimento in termini di fiducia. Un capitale rischioso. Ma di tutte le cose incredibili accadute al Napoli post titolo, bisogna aggiungere che sulla tenuta della difesa ha improvvisato la società, fallendo clamorosamente una scelta non marginale, che aiuta a spiegare le amnesie dell’intera linea. Altro che lungimiranza: questo caso specifico è l’esatto contrario della progettualità. Comunque, che fosse Pavoletti o Petagna, le cose stasera hanno funzionato. Poi è entrato Luvumbo e sono stati volatili per diabetici. Praticamente dimenticato in occasione del gol del pareggio dei sardi.  

Juan Jesus: 6,5

Ci vuole forza e resistenza per stare dietro al doppio centravanti pensato da Ranieri per “fissare” la linea difensiva partenopea. Assorbire continuamente le sportellate di Petagna o Pavoletti presuppone un fisico bestiale. Quando pensi di avergli già preso le misure, si scambiano la posizione e tanti saluti. Insomma, se vuoi veramente disinnescarli devi sudare le proverbiali sette camicie. Magari il centrale brasiliano non è perfettamente in linea con la volontà della società, orientata ad abbassare sensibilmente l’età media dell’organico. In assoluto, tuttavia, appare meritevole di una maglia da titolare, svolgendo efficacemente il lavoro da “veterano specializzato” che gli viene richiesto. Nel suo caso, il processo di svecchiamento può attendere. Perché possiede l’esperienza giusta che occorre attualmente a Mazzarri per raggiungere l’obiettivo dell’equilibrio in retroguardia. Paga dazio all’unica disattenzione concessa a Pavoletti, che pareggia momentaneamente.

Natan: 6

Determinati preconcetti, tipo Muro di Berlino pre 9 novembre ’89, sono difficili da abbattere. Nel caso specifico, si è parlato tanto del valore (scadente…) di un difensore giovane, tra l’altro, proveniente da un campionato straniero, sottoposto a enormi pressioni emotive, dovendo sostituire un crack come Kim. Si è finto di ignorare un aspetto inconfessabile relativo al suo acquisto. Ovvero, che lo avrebbe sostituito numericamente in organico. Non ne era certamente l’erede. Imperdonabile, dunque, soltanto immaginare che potesse cannibalizzare spazio e tempo alla stregua del coreano, maltrattando chiunque finisse nel suo raggio d’azione. Defilato rispetto alla zona centrale, l’ex Bragantino fa sicuramente meno danni. La strategia non sarà assai lungimirante, perché de facto smentisce il mercato estivo operato dalla proprietà. Eppure, rende abbastanza bene. Tiene gli strappi di Oristanio, uno che non lo trovi mai dov’era un secondo prima, perché si dilata o aggredisce la profondità. Eppure, Natan lo contiene, evitando che si spalanchino praterie alle sue spalle. 

(dal 58’ Mario Rui: 6)

Entra ferocemente determinato, con la giusta cattiveria agonistica, finalmente pronto a essere qualcosa di diverso rispetto al semplice ricambio o jolly da tenere in panca, come postulato dallo “scienziato d’Oltralpe”. Ispira l’avvio dell’azione meravigliosa che porta al vantaggio di Osimhen.

Anguissa: 7

Mezzala dal profilo ibrido, l’esatto opposto della retorica sul mediano armato di atletismo e poco altro. Infatti associa prestanza fisica, esplosività e piedi educati. Prototipo del tuttocampista di lotta e governo. Se il cervello pensante del Napoli sta tutto nelle letture di Lobotka, il dinamismo del camerunese è l’ingranaggio funzionale a organizzare non solo costruzione e consolidamento del possesso. Ma anche lo sviluppo in verticale, con conduzioni o inserimenti alle spalle di Jankto o Prati. Indubbiamente, esprime il meglio di sé ondeggiando nella Terra di Mezzo, tipo l’universo fantasticato da Tolkien nella saga de “Il Signore degli Anelli”, tra i mezzi spazi e la trequarti.

Lobotka: 6,5

È sempre lui a cambiare il copione. A decidere la scena. La sua regia, inevitabilmente, gonfia pure il rendimento dei compagni. Che lo seguono affascinati, consapevoli che da lui c’è da imparare costantemente. Nemmeno fosse John Keating, l’insolito docente che con il suo approccio anticonvenzionale ispira gli allievi del corso di letteratura, nel film “L’attimo fuggente”.

Cajuste: 6

Ripaga solo parzialmente l’aspettativa di Mazzarri, che ha sciolto il ballottaggio della vigilia con Gaetano, schierandolo dal primo minuto. Responsabilizzato oltremodo, lo svedese conferma di avere abbondante talento. Del resto, complice il percorso graduale, nelle occasioni centellinate in cui era subentrato in corso d’opera aveva fatto intravedere delle discrete potenzialità. Se una giocata accade una volta potrebbe essere fortuna; due forse è un caso. Ma tre comincia a diventare una precisa peculiarità. Oggi tuttavia, da spalla non s’è convertito in attore coprotagonista. Il sistema del Napoli è radicalizzato nella testa e nelle gambe degli azzurri. Così, il gioco presuppone uno sviluppo con una mezzala estremamente offensiva (Zielinski), mentre lui è più un giocatore di concetto attualmente.

(dal 58’ Raspadori: 6)

Quanti ce ne sono di attaccanti come lui, che si accendono come un candelotto di dinamite appena lo metti dentro, lesti a sfruttare la minima occasione gli venga concessa? Pochissimi. Non per forza gol, ma pure lavoro sporco, da giocatore brutto a vedersi, però smaliziato e utilissimo.

Politano: 6,5

Sorprende l’abilità con cui, nonostante Augello gli stia praticamente abbarbicato alle caviglie, simile alla cozza sullo scoglio, riesca a far sparire e ricomparire il pallone in una frazione di secondo. Certo, è normale che pur essendo palesemente on fire da qualche settimana, sia complicato reggere un ritmo indiavolato per novanta e passa minuti. In ogni caso, al momento è uno tra i più in forma. Così da veicolare la sensazione in tifosi e critica di far le cose giuste nel momento utile alla squadra.

(dal 88’ Zanoli: s.v.)

Partecipa con enfasi a blindare la fascia destra nell’arrembaggio finale del Cagliari.

Osimhen: 7

Gli ultimi sedici metri sono casa sua. Quella ristretta porzione di campo è l’unico motivo che probabilmente spinge il nigeriano a calzare gli scarpini. L’equivalente dell’odore del sangue per lo squalo. Ecco, a Victor, l’area di rigore altrui fa il medesimo effetto. I centrali cagliaritani hanno provato a limitarne la produzione offensiva, con una marcatura minuziosa, con interminabili interscambi e coperture reciproche, per assicurarsi che il nigeriano diventasse vulnerabile alle loro cure. Tutto inutile: il centravanti del Napoli oggi non si pigliava. Attirava su di sé le attenzioni difensive, allungando o restringendo la compattezza della retroguardia di Ranieri a seconda della situazione. Sull’1-0 aggredisce lo spazio come un assatanato, prendendosi tempo e libertà di fare ciò che gli riesce meglio: finalizzare. Il 2-1 è merito suo, va a prendersi il pallone in fascia, lo lavora caparbiamente e lo rimette dentro. Poi Kvara spacca la porta.

(dal 81’ Gaetano: s.v.)

La polemica innescata a suo tempo dal procuratore, Mario Giuffredi, un po’ meschina, a tratti pure forzata, suggerisce però al ragazzo di iniziare a pensare di cambiare squadra, andare a giocare altrove con continuità. Allo stato attuale, con pochissimo spazio per far valere le sue doti, presumibile pensare che il Napoli non ci abbia puntato davvero su. Allora, meglio valorizzare le proprie qualità lontano dalla Alma Mater.

Kvaratskhelia: 7

All’inizio della scorsa stagione Kvara impressionava soprattutto per la capacità di isolarsi in situazione di uno contro uno. Il suo dribbling fuori scala sembrava talmente sovradimensionato, al punto da trasformare l’aggettivo “immarcabile” in una stucchevole descrizione del suo destino da prescelto. Manco avesse guizzi accelerati rispetto ai dirimpettai. Oggi che hanno imparato a picchiarlo scientificamente, oppure catechizzato la catena difensiva di destra nel raddoppiarlo o addirittura triplicarlo, il georgiano trae benefici da una tecnica superiore alla media. Contemporaneamente, paga una dose di pigrizia in fase di non possesso, che lo rende meno scintillante. Senza Zielinski a levargli pressione dalle spalle con i suoi strappi, è proprio Khvicha che talvolta prende quella mattonella, occupando l’half space. Con Natan a dare ampiezza con i piedi sulla linea. Qualcuno li definisce ancora orpelli, quei movimenti a cercare aria sull’esterno. Ma capisce poco di calcio.

(dal 88’ Lindstrom: s.v.)

Dinamico e reattivo.

Allenatore Mazzarri: 6,5

Nella patria degli OpinioNiente a tanto al chilo, cui piace filosofeggiare sul cd. football dell’era moderna, chi si porta appresso le stigmate del superato, calcisticamente parlando, fa un’enorme fatica a riconquistare una certa credibilità. Lui non ci perde il sonno, e cura una squadra che il peggior Garcia di sempre aveva regredito sul piano tecnico ed emotivo, tentando di cavalcare i principi che avevano portato questo gruppo allo scudetto. La rinascita dei Campioni d’Italia, quindi, passa necessariamente attraverso due sacri fondamenti: la predilezione per un gioco qualitativo ed al contempo aggressivo. Ovviamente, adattato all’istinto concreto e pragmatico dell’allenatore toscano. In definitiva, se la gestione del francese ha derubricato il Napoli a mera comparsa nella Serie A di quest’anno, allora Mazzarri la “grande squadra” dovrà necessariamente costruirsela da sè. Ha cominciato prima a ridare dignità al gruppo. Ora prova a dar loro pure un gioco.   

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