Napoli e Lazio si affrontano nell’arco di quattro giorni in due contesti decisamente diversi. L’antipasto è la sfida secca di stasera, che vale i quarti di Coppa Italia. Ovviamente, il piatto forte rimane il match di domenica al Maradona. La priorità va data al campionato. Così all’Olimpico scende in campo una formazione completamente rivoluzionata, negli uomini e nel sistema di gioco. Spazio dunque a chi finora ha giocato pochissimo, in ossequio al turnover. Ecco com’è andata…

Caprile: 6

Nonostante non veda una maglia da titolare da tempo, ha sfoderato una prestazione sufficiente. Sull’azione che determina il fallo da rigore si lascia anticipare da Pedro, lesto a spostargli il pallone sull’uscita a valanga. Però intuisce la traiettoria del rigore di Zaccagni e spinge forte sulle gambe. Un portiere pratico ed efficace negli interventi. Tiene in vita i suoi nella ripresa con una bella parata su Lazzari. Anche così si riesce a mantenere la competitività senza poter giocare con continuità come lo scorso anno all’Empoli.

Zerbin: 5

Privata di capitan Di Lorenzo, la fascia destra sembra diventato il lato debole, buono per isolare Ngonge, mentre Zerbin resta bloccato in copertura. Effettivamente, all’interno di un contesto tattico dove fatica un tantino a scivolare in avanti, associandosi scarsamente coi compagni, tenta di compensare con reattività nel leggere le intenzioni di Zaccagni. Motivato, non tira mai indietro la gamba. Dando in cambio massima abnegazione e non mollando nemmeno un centimetro, provando a sporcargli le ricezioni. Peccato che non abbia assolutamente il passo per tenere il numero dieci biancoceleste.

(dal 72’ Di Lorenzo: s.v.)

Rende tangibile l’attitudine a coprire la zona di competenza.

Juan Jesus: 4,5

Nel confronto con Noslin pare spento, anestetizzato specialmente in occasione del vantaggio laziale, e sul 3-1, perdendo sempre il riferimento. Agni duello con l’olandese, combattuto a colpi di sportellate ed esuberanza atletica, provoca scintille. Si può affermare senza timore di essere smentiti che abbia completamente fallito sull’avversario diretto, visto che i padroni di casa riuscivano comunque ad appoggiarsi sulle qualità del loro attaccante. Là il brasiliano doveva decodificare la situazione e scegliere se rompere la linea, per attaccare in maniera efficace la palla, oppure scappare verso la porta con il giusto timing. Ovviamente, sbaglia entrambe le letture, veicolando l’impressione di essere ormai alla frutta.  

Rafa Marin: 4,5

Gregario a tutto tondo, si occupa di cantare, cioè collaborare (poco) all’impostazione. E soprattutto portare la croce. Ergo, tenta di difendere con generosità per correggere qualsiasi errore nel braccio di ferro con Noslin. Buttandosi senza remore nei contrasti, utilizzando il fisico e rendendogli la vita difficile. Ma non riesce a portare la contesa dalla sua parte. L’inerzia del corpo a corpo con l’attaccante, inizialmente in equilibrio, gli scivola inevitabilmente dalle mani. Di fronte al brio dell’olandese finisce col perdere nettamente la sfida. Insomma, non ha avuto una partita facile. Lui ci ha messo del suo, dimostrando di essere ancora impresentabile a questi livelli.  

Spinazzola: 5

Nella prima uscita da dietro può decidere se rimanere largo e ricevere o col pallone che staziona sul lato opposto, entrare dentro al campo e atteggiarsi alla stregua di un “finto terzino”, trovando spazio in mezzo per consolidare il possesso. Tchaouna sembra essere in fiducia e l’ex Roma, forse ancora in odore di derby, entra nei contrasti e corre veloce. Ma stenta a tenerne il passo, con il francese che pare avere comunque un pizzico di energia in più.

Gilmour: 6

Evidente che veda il gioco, abbassandosi spesso a ricevere il pallone dai difensori. Dal linguaggio del corpo si evince la voglia di non nascondersi, nonostante Pedro ne segua le orme. Pur preferendo esplorare tracce semplici. Tocca sul breve e poi copre lo spazio. Così, evita le forzature inutili o quelle rischiose. Serve qualità per smistare passaggi progressivi, in grado di far progredire la manovra azzurra. E lo scozzese di qualità ne ha in abbondanza. Peccato che ad eccezione di Neres e Simeone, stasera abbia predicato in un deserto di mediocrità e menefreghismo.  

Folorunsho: 5

Abituato a interpretare il ruolo in maniera assai proattiva, stasera si è dovuto riciclare, lavorando da centrocampista puro, di lotta e governo assieme. Quindi, specialmente in fase di possesso, aiutare nella costruzione dell’azione partendo dalla trequarti difensiva. Si è limitato a svolgere scolasticamente il compitino, sprecando l’occasione di dimostrare al tecnico che talune gerarchie potrebbero pure essere messe in discussione.   

(dal 72’ McTominay: s.v.)

La sensazione, appena entra, rimane quella di maggiore incisività negli ultimi trenta metri. Lo scozzese prova a essere intenso e verticale nell’accompagnare la manovra. Sia mettendosi in proprio, che connettendosi coi compagni.

Ngonge: 5

La posizione di mancino puro schierato a piede invertito indubbiamente ne dovrebbe esaltare il modo di giocare nient’affatto convenzionale. Ovvero, condurre palla, accelerare e accentrarsi, costantemente a caccia dell’uno contro uno con Hysaj. In fase di non possesso deve sacrificarsi non poco, abbassandosi per assorbire gli inserimenti in ampiezza dell’albanese, aiutato da Pedro, nel mettere in mezzo il belga. Tutto sommato, una prestazione scialba, a tratti evanescente.  

(dal 72’ Politano: s.v.)

Un inserimento che per certi versi funziona: la sensazione che dai suoi piedi potesse nascere qualcosina di interessante.

Raspadori: 4,5

Una domanda lo insegue praticamente da quando è sbarcato all’ombra del Vesuvio, vista la duttilità, che lo rende spendibile da profilo abile nell’abbassarsi per cucire il gioco, in spazi stretti. Oltre a esprimersi da seconda punta. Situazioni che richiedono grande tecnica e rapidità nel trasmettere il pallone. A seconda delle circostanze, nonché dell’altezza cui si trova la palla, Conte gli chiede di calarsi all’interno del modulo. Eppure Jack continua ad essere un fantasma, perso a vagare per il campo, alla ricerca di chissà cosa. Non si contano le palle perse. L’errore sul raddoppio della Lazio, ennesima palla regalata in una serata che ne ha certificato la pochezza mentale, è una sua precisa responsabilità.  

(dal 84’ Lobotka: s.v.)

Garbage time con la partita già abbondantemente in ghiaccio.

Neres: 6

Da esterno a sinistra predilige la classica lettura che gli consente di convergere sul piede forte. Questo non vuol dire che sia monodimensionale nei movimenti offensivi. Perché le volte che Lazzari gli chiude l’interno, il brasiliano fa tantissime altre cose, diventando letale e creativo. Ad agevolarlo, manca la sovrapposizione di Zerbin oppure l’inserimento di Raspadori. Soluzioni che avrebbero determinano superiorità numerica in ampiezza o nel corridoio intermedio. Allora, sceglie di brillare di luce propria e non riflessa. Azzardando anche giocate velleitarie, tipo quando scippa a Tchaouna un pallone sanguinoso, che converte in conclusione verso la porta di Mandas, col conseguente tap-in di Simeone.

Simeone: 6

Facile accorgersi come sia a suo agio spalle alla porta. Tenta di sottrarsi alla cura di Patric o Gigot uscendo e immediatamente dopo rientrando nel cono di luce centrale. Palese l’intenzione di aggirare il marcatore e aggredire con cattiveria agonistica il dischetto del rigore. Classico movimento che gli permette di farsi trovare all’appuntamento con la respinta di Mandas, per pareggiare. E poco dopo, chiamare alla parata salvifica l’estremo difensore greco. Non gli arriva una palla pulita (e giocabile) che sia una.

(dal 77’ Lukaku: s.v.)

Un miraggio riuscire a fare qualcosa di utile con pochi minuti a disposizione.

Allenatore Conte: 5

A vedere il Napoli stasera si percepiva la sensazione che gli azzurri tentassero strenuamente di inclinare il piano gara, impegnandosi a giocare assieme, pur non avendolo fatto mai in realtà. Complicato se mancano i riferimenti spazio-temporali, che non supportano, per mancanza di affiatamento, le caratteristiche tecniche. Abbastanza indicativa la fatica nel palleggiare, avendo letteralmente stravolto la formazione: scelta radicale priva di compromessi. L’Uomo del Salento ha accettato senza apparente tensione una partita del genere, sperando in cuor suo che la rosa fosse effettivamente lunga e offrisse alternative valide ai titolarissimi. Al netto della eliminazione, la notizia peggiore per l’allenatore è che ha concesso la fiducia a qualcuno incapace di metabolizzare quanto fosse importante riuscire ad adattarsi a navigare nel mare torbido della Coppa Italia. Per quelli che non hanno creduto fino in fondo all’idea di poter competere sulla gestione del doppio impegno, giusto tornare a lustrare la panchina col sedere.

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