Il Napoli rientra dalla trasferta di Cagliari con una nuova consapevolezza: ha dosi massicce di atletismo e verticalità, qualità che in Serie A fanno (quasi) sempre la differenza. Inoltre, cosa che non guasta mai, sembra avere una panchina all’altezza delle ambizioni.   

Inizialmente, le fondamenta sulle quali Conte ha edificato il piano gara prevedevano di stimolare i movimenti in profondità di Lukaku con il lancio lungo. Classica situazione di palla scoperta, per allungare velocemente le distanze tra i reparti dei padroni di casa. Assorbita comunque con una certa difficoltà da Mina. Obbligato a scappare all’indietro per evitare che Big Rom potesse dominare l’area, mettendo facilmente a terra il pallone.

L’idea di base rimaneva quella di creare eventuali tracce pulite, per scaricare in sicurezza verso i tagli di Kvaratskhelia e Politano. Perciò ai due offensive player è stato affidato l’onere di stare molto più vicini al centravanti, piuttosto che partire larghi in ampiezza. Come fanno di solito.

Conte stratega sopraffino

Innegabile la volontà dell’allenatore salentino di approcciarsi al match in questa maniera, con un baricentro ad altezza media, per contendere eventualmente le “seconde palle” ai sardi. Quasi a volerne studiare i meccanismi di risposta, in situazione di difesa posizionale. E senza forzare particolarmente il pressing, diventato solo in corso d’opera maggiormente aggressivo nella ricerca del recupero palla.

Nondimeno, pur scegliendo la squadra partenopea di adattarsi allo schieramento a specchio predisposto da Nicola, a fare la differenza ha contribuito essenzialmente il lavoro svolto dagli attaccanti azzurri: l’attenzione era rivolta in primis alla superiorità numerica in zona arretrata dei padroni di casa. Che mantenevano una struttura in costruzione dove solamente Lukaku si preoccupava di alzare la pressione sui centrali. Conte accettava dunque di lavorare in situazione di sottonumero, preferendo privilegiare la copertura degli “half spaces”, funzionale ad assorbire una potenziale inferiorità.

Una situazione che a campo invertito ha prodotto non pochi grattacapi al Cagliari. A dargli fastidio, proprio la fluidità di Kvara e Politano, che stringevano spesso, trasformandosi da esterni in trequartisti, liberi di muoversi alle spalle di Lukaku. A quel punto, la priorità dei rossoblù era quella di schermare qualsiasi soluzione in verticale, tenendo strette e corte le linee di difesa e centrocampo.

Napoli multitasking

Così facendo, però, i laterali a tutta fascia partenopei potevano prendere campo. Ma il sistema difensivo dei cagliaritani presupponeva di controllare quello spazio, incastrando l’attivismo di Mazzocchi e Spinazzola la posizione di Augello e Azzi, che uscivano forte in pressione sulla ricezione. Il principio, favorito ovviamente anche dalla presenza della linea laterale, era bloccare quella fonte del gioco, che invece Conte ambisce a stimolare con frequenza. Privando il Napoli delle classiche imbucate centrali, l’unica alternativa plausibile per gli azzurri, che ambiscono a gestire il possesso, era riciclare la palla, tornando verso Lobotka.

In questo scenario non si può trascurare l’applicazione dei due mediani partenopei, che non hanno fatto mancare lucidità nell’attuare i principi dall’allenatore. Fondamentale l’attenzione dello slovacco e di Anguissa nell’eseguire inserimenti profondi alle spalle del centrocampo rossoblù. Tali da obbligare la retroguardia cagliaritana a rompere l’allineamento, per contenere il cambio di marcatura.

Insomma, il Napoli visto a Cagliari è parso davvero una squadra piena di soluzioni. Nonché ricca di talento, che le consente di sovvertire scenari di equilibrio – per una oretta i padroni di casa sono stati pienamente in partita – grazie a risorse all’altezza del livello altissimo che gli azzurri sperano di raggiungere quanto prima.

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