Se Acerbi è stato assolto dalla Ordinamento Sportivo dall’accusa di razzismo nei confronti di Juan Jesus per insufficienza di prove, la sentenza pronunciata dal Giudice Gerardo Mastrandrea, invece, rafforza una triste realtà. Ovvero, che l’intero “sistema” dell’italico pallone è ormai del tutto inadeguato ad affrontare una questione delicatissima come la lotta avverso ogni forma di discriminazione. Sia essa legata agli insulti per il colore della pella, piuttosto che la religione professata. Stendendo, almeno in questa sede, un velo pietoso sull’approccio omertosamente colluso, se non addirittura larvatamente complice, delle istituzioni. Timorose di prendere qualsiasi posizione netta ogni qual volta si ripetono episodi così squallidi. Tipo l’odio geografico o territoriale, stranamente derubricato a fenomeno da curvaioli e poco altro.
Urge chiaramente separare le opinioni dai fatti. Se l’idea maggiormente diffusa sembra suggerire che dopo tanto clamore, la montagna abbia partorito il tradizionale topolino, di ben altro spessore le considerazioni di carattere giuridico. Partendo dal presupposto che le sentenze di rispettano (sempre!!!) e non si strumentalizzano mai. Dalle indagini effettuate dalla Procura Figc non è emerso abbastanza materiale probatorio da sostenere la testimonianza del centrale brasiliano in forza al Napoli. Per questo motivo, il difensore dell’Inter non subirà alcuna sanzione. E poco importa che nel recente passato, in casi del tutto analoghi, non sia stata necessaria l’evidenza di una prova per comminare il massimo della pena prevista dal Codice: dieci turni di squalifica.
Complici e omertosi
Quello che dovrebbe veramente indignare, considerando che l’ipotetico (a questo punto, bisogna necessariamente etichettarlo così…) insulto viene “vomitato” nella giornata di campionato dedicata proprio alla lotta contro il razzismo, è l’atteggiamento della Federazione. Che assieme alla Lega, continua a minimizzare. Se non ignora bellamente certe situazioni.
Ipocrita, seppur (parzialmente…) tollerabile il comportamento del massimo organismo delle società di A. Che qualificherei meramente “conservativo”. O meglio, orientato a ridimensionare un fenomeno invece diffusissimo. Non a caso, gli insulti ricevuti da Maignan lo scorso 20 gennaio, a Udine, certificano l’alto tasso di intolleranza che appesta gli stadi italiani. Questa è la normalità del nostro calcio ai massimi livelli. Meglio tuttavia, soprassedere, perché pecunia non olet, ed il prodotto va assolutamente venduto, specialmente sui mercati esteri.
Di spessore diverso la (non) posizione della Figc. Che nonostante sia ormai da tempo infiltrata dalla Politica e dal Capitale, rimane – sulla carta – un organo istituzionale. E come tale, portatore di un interesse superiore: quello di esercitare una tutela erga omnes. Quindi, garante nei confronti di tutti. Peccato che la Federazione abbia avuto un prevedibile punto di vista alquanto ambiguo. Del resto, comportarsi da Ponzio Pilato pare sia il modus operandi di questa classe dirigente. Così, da un lato, ha estromesso Acerbi dalle convocazioni per la tournée in Usa della Nazionale. De facto, punendolo. Al contempo, però, ha motivato l’esclusione con questa motivazione, degna del miglior brocardo giurisprudenziale: dalle parole di Acerbi sarebbe «emerso che non vi è stato da parte sua alcun intento diffamatorio, denigratorio o razzista».
Vigliacchi e consapevoli
La parte più straziante di questa vicenda surreale, è la vigliaccheria di Acerbi. Che rifugge da ogni assunzione di responsabilità, degno del migliore tra i “capitani coraggiosi”. Prima si scusa (platealmente…) in campo con Juan Jesus, poi cambia radicalmente la sua versione: «Secondo me ha capito anche male, in campo succedono tante cose, è normale».
Pure la malsana solidarietà di alcuni dei protagonisti che erano in campo fa voltare un po’ lo stomaco. Federico Dimarco, per esempio, che si affretta a scagionare il compagno di squadra, pur ammettendo di non sapere esattamente cosa sia successo tra loro («Non ho visto niente»), è il classico cattivo esempio di cui non sentivamo veramente la necessità. Al di là di falsi moralismi e astratti discorsi sull’erica o la moralità.
La sensazione è che continui ad esserci un timore reverenziale nell’affrontare il problema, forse perché nell’inconscio degli italiani bacchettoni, demagoghi e buonisti c’è una sgradevole consapevolezza. O peggio, una triste assuefazione a questo schifo. Non voler accettare che una parte consistente di popolazione è razzista: nei modi di fare, nelle espressioni che usa. Nell’atteggiamento nei confronti di chiunque sia un “diverso”. Fa davvero troppo male riconoscere di essere un Paese arcaico nella mentalità e arretrato nelle idee. Bisognoso di una profonda rivoluzione culturale. Che sicuramente non sono in grado di portare avanti Lega Calcio Serie A, Figc e AssoCalciatori.
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